Lonely

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Il quadro: Lonely, acrilico su tela, cm 100 x 100


Lonely


Beh, mentre ero nel bosco – infatti ha smesso di piovere e sono andato a portare avanti i lavori – in altri termini, a fare questo esercizio di traffico manuale che mi fa tanto bene – dicevo, nel bosco, che stavo pensando a quel momento così importante nella mia storia in cui ho sentito che facevo i conti con la vita da uomo a uomo, come si potrebbe dire…
E non è stato quando mi sono sposato, né quando ho trovato tre incarichi in tre scuole diverse per nutrire le bocche da sfamare che avevo in casa, né, dopo, quando sono andato via dalla scuola, avventurandomi per una strada che rispondeva ai miei desideri ma mi esponeva a tanti rischi…


È stato in un momento intermedio, ero ancora a scuola, mi ero separato, passavo metà dello stipendio come assegno di mantenimento, e non avevo da mangiare tutti i giorni. Dovevo vivere di espedienti. Che erano: farsi invitare dagli amici il più possibile, andare alla maroda – come si dice da queste parti – e coltivare le mie energie, limitando gli sprechi in ogni senso.


Curiosamente, è stato in quel frangente che ho sentito qualcosa di particolare della mia natura. Ero pronto a sopravvivere malgrado tutto. La necessità mi liberava da ogni convenzione, da ogni considerazione di immagine. Vivere: trovare da mangiare e vivere. Mi ricordo, con umorismo, di quel giorno in cui mi sono nutrito di rape, estratte dal suolo senza tanti accorgimenti igienici. E di quell’altro giorno in cui mi sono riempito la pancia di ciliegie amarene, prese da un albero dimenticato a un crocicchio di strada, scontando l’abbuffata con una diarrea prolungata per un paio di giorni.


Che cosa c’è in questo ricordo che mantiene l’emozione di quel momento, che me lo rende così importante? Che cosa c’è in questa vicenda che mi comunica ancora una sorta di energia selvaggia?
Forse, perché in quella circostanza ho realizzato di essere qualcuno anche al di fuori di ogni convenzione sociale e ogni decenza accreditata. Un essere che voleva vivere, e che lo meritava, indipendentemente dal grado di protezione che riceveva dall’assetto sociale. Forse.


Ho spesso pensato che la società – che ci offre tanti benefici e che ci consente di vivere in un certo agio – ha una forte tendenza oggettiva a trasformarci in polli e conigli d’allevamento. E, come per tutti gli animali d’allevamento, questo ci ottunde l’istinto di sopravvivenza e la fierezza di affrontare da soli la vicenda della vita.
Forse, in quella circostanza, io scoprivo che la società non mi definiva fino in fondo. Dentro di me sopravviveva un animale capace di far fronte alle necessità con le proprie zampe, senza affidarsi a nessuna istituzione.


Da quell’esperienza mi derivava una fierezza di me stesso che nessun riconoscimento sociale per il lavoro svolto nella scuola sarebbe stato in grado di darmi.


Forse è questo. O forse è tutto un sogno.
Certo è che nel bosco io ritrovo ogni giorno quell’animale selvaggio, arguto e forte, che sa trafficare con le cose e provvedere ai propri bisogni.
Ed è di questa energia che mi servo per aprirmi una strada anche nella società, nel mondo, nel mercato.
Se sono un figlio di puttana o un uomo buono lo diranno gli altri, e lo diranno dopo. A me non interessa, ora. M’interessa fare quel che ho da fare e arrivare dove voglio arrivare. Seguendo il mio sogno.


BELLE NOTIZIE


Lo so che l’ho già detto, ma lo voglio ripetere: sabato prossimo, 30 settembre. Inauguro la Mia Personale a Rivarolo Canavese. È la città dove risiedo, dove ho insegnato gli ultimi 16 anni come profio di Filo. Dove ho cominciato la mia avventura d’artista, nove anni fa. Dunque mi aspetto di incontrare un casino di amici.

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