Fuoco nella notte

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Fuoco nella notte.


È un po’ come ascoltare una musica di grande respiro. Si apre un varco e vedi le cose come da un’astronave. Un po’ a bocca aperta e con gli occhi spalancati dalla meraviglia.


Ma è proprio necessario che il quotidiano sia così piccolo?
Questa sorta di oblò nello spazio non è sempre a disposizione?


Lo confesso. Non sono bravo nelle lotte per le grandi cause: la fame, la guerra, la disuguaglianza sociale, il buco nell’ozono…
Non sono bravo non vuol dire che non le sento profondamente nel cuore. Vuol dire che mi sento spaesato quando mi domando come posso contribuire. Finisco per fare quello che dicono altri. Cioè, alla fine, non so quel che faccio.


Dove mi sento a casa è la gioia di vivere.
Potessi almeno essere un testimone della gioia di vivere!
E potesse bastare questo a farmi sentire socialmente utile!


Sarà il bosco, certo è la salute, e anche la chiara visione del mio piccolo orticello: quelle cose che sono a portata di mano e dove vedo che facendo questo o quello succede quell’altro. Mi piace immensamente avere a che fare con un campo d’azione tutto a portata di mano.
È qui che sperimento la gioia di essere vivo.


Che è già una bella avventura.
Naturalmente sono disposto ad andare dove la vita mi chiami.
Sono pronto a dire di sì agli eventi che cambiano il campo di gioco.
Ma finché questo non succede, mi piace occuparmi delle mie piccole cose: il bosco, tenere la casa, dipingere e scendere nelle strade a vendere i miei quadri, rispondere alle mail che ricevo e incontrarmi con gli amici.
E ci provo tutti i giorni a immaginare queste cose nella forma in cui possano integrarsi in un’avventura che è al contempo il mio viaggio personale e il mio contributo alla vita.


Mi piace leggere e far andare la mente a pensieri in libera uscita. Mi piace ascoltare le voci del cuore nella prima luce del mattino, tra le fronde del bosco che lasciano cadere le foglie, ora, ininterrottamente.


E mi rendo conto che mi piace parlare in continuazione a Dio, senza sapere che cosa questo voglia dire. Come se in questa sorta di dialogo immaginario (dialogo?) io mi ponessi in una dimensione umana la più larga che possa immaginare.
È questa sorta di dialogo (dialogo?) che costituisce qualcosa come uno specchio adeguato per poter controllare me stesso e liberare dalle pose i miei gesti e il mio sentimento.


Mi conforto dicendo a me stesso che un sapere consapevole del proprio limite è più ampio di un sapere che non lo vede. Consente di immaginare che c’è altro, che c’è un oltre…

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