Il resto

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Il quadro: Luna bassa e donna nuda dietro il gelso. Acrilico su tela, cm 100 x 100.
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Il resto


Non so da te, qui, quando incontri, ti chiedono: tutto a posto?
E quando tu hai detto che il lavoro va bene o va male, continuano: e il resto?
Il resto, praticamente, è ciò che chiamiamo vita. Sei amato, innamorato, felice, i figli, la famiglia, la salute…?


Agli artisti – soprattutto quando sono all’inizio e sperano di essere riconosciuti – il resto è quello che importa di più. Ed è anche quello che hanno di più. Spesso è la sola cosa che hanno. Ci danno dentro perché pensano – innanzitutto – che quello che deve uscire da loro sia espressione di una certa profondità che li abita. Insomma, è il loro modo di desiderare di non essere vissuti invano.


Ma ancora oggi si ripete – soprattutto per chi inizia e ci sta provando – una situazione già sentita. La loro vita interiore, spesso intensa ed eccitante, non trova un riscontro effettuale, concreto, nella società. Il che, fondamentalmente vuol dire che non ricevono abbastanza denaro dal mercato perché possano dire che ce l’hanno fatta. E non ricevono abbastanza applausi dal mondo perché possano dire che sono riconosciuti per quello che si sentono dentro.
Molti artisti hanno il “resto” ma non hanno ciò che nel mondo moderno rende concretamente reali.


Se mollano qui è molto grave. Non è come quegli imprenditori che se gli va male con il tondino, si tirano su le maniche e ci provano con le pentole. Se a un pianista gli va male con la musica gli resta una ferita così profonda che rischia di rendergli la vita disperata.
Per questo ce la mettono tutta e non gliene importa niente di vacanze o di confort. Sono più vulnerabili nelle questioni di cuore. Ma sanno di poter rappresentare nella loro arte sia la tristezza infinita sia la felicità esaltante.


L’artista è spesso felice e melanconico insieme. Perché vede la bellezza delle cose e, nel contempo, la loro fugacità. Quanto dura una rosa? Ma chi potrà non essere rapito dalla bellezza della sua fioritura.


Ho notato che anche le donne hanno questo stesso senso del valore della bellezza e della sua fugacità.


E sospetto che sia proprio questo sentimento ambiguo – ma così filosofico – che spinge a cercare oltre i confini del visibile. Semmai una svolta, un movimento, un procedere, della vita, del carattere, della propria storia personale, conduca ad un porto più protetto, dove il valore si riproduca con altrettanta intensità.


Eppure, malgrado questo o proprio per questo, l’artista sente che è impegnato in una sorta di battaglia con ciò che c’è di pedante, ottuso, mediocre, noioso, infingardo, infiacchito, nell’esistente, anche se sembra tenere il campo in ciò che appare come reale e concreto. Succede, insomma, che ciò che ha tutti i numeri per rivendicare il suo spessore reale, e la presenza e l’efficacia, appaia all’artista come già morto.
E l’artista si sente impegnato a portare linfa vitale in un mondo che rischia costantemente di sedersi nella propria orina.


Io non credo che la vocazione dell’artista sia quella di beffeggiare, esecrare, condannare, disprezzare la gente. L’artista di solito ha incontri genuini con le persone. Sa che “la gente” sono le persone prima che tu le conosca personalmente. E le persone, conosciute in maniera diretta, hanno la stessa ambizione dell’artista: portare colore dove il grigio invade, portare musica dove c’è rumore, iniettare danza dove la pesantezza infiacchisce, cantare poesia dove la prosa declina.


E allora…

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