Ad esser sincero

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Ad esser sincero


Certo che lo ricordo bene. Ero un ragazzino un po’ spaventato da quello che avveniva in società. Nell’infanzia preferivo giocare nei boschi, salire sugli alberi, fabbricare capanne. Vivevo d’immaginazione e di gioco. Se i miei compagni entravano nel mio territorio, li attiravo dentro le mie storie. Era fantastico.
Ma, là fuori. Nel mondo degli adulti, maturi, ragionevoli… capitavano delle cose del tutto irragionevoli per me. Quando ho saputo di Peter Pan, che non voleva diventare grande, l’ho capito al volo.
E, più avanti, quando ho sentito quello che dicevano gli psicologi – che il gioco serve al bambino per prepararsi ad entrare nel mondo adulto – beh, mi sembrava una stronzata.
Non era vero affatto.


Comunque, poi, mi son lasciato convincere.
Mi son messo a studiare. Ho imparato a parlare la lingua della cultura. Sono riuscito ad apprendere anche il latino. Davo gli esami all’università e prendevo bei voti – ma quando uscivo mi sembrava di aver recitato.


Una volta ho letto che i bambini sono molto intelligenti e che diventano scemi per piacere ai loro genitori. L’ho condiviso al volo. Era un po’ la mia storia.


Naturalmente, è venuto il momento in cui dovevo guadagnarmi da vivere. E allora, ci devi entrare nel teatrino. E ci sono entrato.
Mi rendevo conto di non coincidere mai perfettamente con la parte, il ruolo, che recitavo. E mi sembrava che anche gli altri fossero un po’ così.
Era come se una doppia vita si sviluppasse strettamente intrecciata. Ognuno aveva un nucleo nascosto dove si sentivano certe cose, si desideravano certe cose, si vivevano certe cose. E, nello stesso tempo, quella che sembrava essere la vita sociale era una sorta di teatrino un po’ stupido in cui si riteneva di dover recitare certi copioni. E alcuni sembravano credere realmente in questi ruoli. Li prendevano molto sul serio.


Ero proprio destinato a fare il filosofo.


Sono sempre stato ammirato della sagacia e dell’operosità dei miei simili che hanno inventato, costruito, donato all’umanità, strumenti, mezzi, ritrovati per migliorare la condizione umana – nella salute, nell’abitazione, nei trasporti, nel vestiario, nell’istruzione. Ho visto che c’era una grande corrente che impegnava le energie umane nel rispondere ai bisogni, ai desideri, nel migliorare.


E ho visto, che, in parallelo, c’era anche un’altra grande corrente che portava gli uomini a distruggere, a rompere, a soffocare. La Storia – che dovevo insegnare al Liceo – era prevalentemente una storia di guerre, di conquiste, di carneficine.


Che poteva pensare un filosofo di questa faccenda? Quello che ogni uomo e ogni donna pensa: che, in fondo, il perché succeda questo sfugge completamente. Ma che bisogna scegliere tra le due correnti – magari decidendo di seguire la propria indole. La mia indole era mansueta.


Ho provato a fare il duro. Denunciare ingiustizie, crimini, soprusi. Ma mi costava troppa fatica. Ho capito, gradualmente, che a me interessavano altre cose: partorire vita. Figli, amore, creare, inventare. Sono riuscito a liberarmi dall’obbligo morale di denunciare, di combattere contro.
Ho trovato uno spazio in cui è possibile concentrarsi sul creare, inventare, proporre.
Ho smesso di litigare. Mi sento meglio.
Ho smesso di lottare per aver ragione. Sto bene.


La mia giornata è un parto continuo. Sono costantemente in gravidanza.
Nel piccolo perimetro in cui mi muovo.


Una voce chiede: ma, in questo modo, avrai successo, farai fortuna, riceverai pubblici riconoscimenti…?
Ma vaffanculo!


Il quadro qui allegato si chiama La luna nelle mani.

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