la piazza della chiesa

La piazza della chiesa

La piazza della chiesa.

Mi nonna mi portava con sé la sera. Andava al rosario e mi portava con sé. Io sedevo vicino a lei, sulle grandi panche di legno, ognuna delle quali aveva una targhetta di ottone con il nome della famiglia donatrice. Il nome della famiglia della nonna non c’era. Io non chiesi mai il perché. Pensavo: saranno i più ricchi del paese. Mia nonna andava tutte le sere al rosario, ma non mi ha mai dato l’idea di una donna particolarmente religiosa. Mi diceva spesso le due cose che contavano davvero nella vita: “la salute e la salvazion dell’anima”. Era una donna di carattere. Viveva da sola. Il marito e tre figli erano in America. Lei era ritornata in Italia con mia madre. L’America non faceva per lei. Sapeva il fatto suo. Amministrava una grande casa e aveva un podere a mezzadria  Monsummano Alto. Se la cavava egregiamente.

Andavamo Tutte le sere. Dicevano il rosario in latino, o meglio con qualcosa che assomigliava al latino, era un latino appreso a orecchio. Mia nonna aveva fatto le elementari e non conosceva il latino. Ma era la lingua delle funzioni e dei preti e l’aveva imparato meglio dell’americano! C’era il Pater Noster, l’Ave Maria, il Requiem Aeternam, che venivano recitati strascicati e poi, alla fine della benedizione, il più misterioso di tutti, un inno cantato, il Tantum ergo, con tante strofe.

Al rosario erano solo donne. Vestite di nero. Tutte le donne vestivano di nero. Era dopo la guerra. Avevano un fazzoletto nero in testa. Alla fine della funzione, un meccanismo meccanico, scopriva l’immagine della Madonna della Fonte Nova, collocata sopra l’altare maggiore, cui la chiesa era dedicata. Un aggeggio sonoro scandiva un ritmo, mentre la copertura del quadro si ritraeva a scatti. Era come se comparisse la Madonna in persona. La nonna era affezionata a quella Madonna. Di fianco al cancelletto attraverso cui si accedeva alla cucina del suo alloggio, c’era – e c’è ancora – una piccola edicola con la riproduzione di quella Madonna, con sempre dei fiori freschi.

Spesso al rosario mi addormentavo, appoggiandomi al suo fianco. Lei non mi svegliava. Non mi obbligava a pregare. Credo bastasse avermi vicino. Ci teneva molto a me. Ho scoperto solo più tardi il perché. Mi proteggeva. Anche dalle botte di mia madre. Botte meritate, ovviamente. Ma avere la nonna come alleata costituiva un punto di forza. Dopo il rosario, d’estate, mi portava a prendere il gelato, in una gelateria che stava proprio dietro la chiesa. Un gelato da mezza lira. Era una festa. Lo prendeva anche lei. Lo leccavamo con gusto, cercando di farlo durare a lungo. La fretta ci veniva solo quando incominciava a colare sul cono di cialda e sulle mani. Allora il ritmo delle leccate aumentava. E alla fine mangiavamo la cialda. Soddisfatti.

Categorie: Eugenio Guarini