Il possibile e la parola

Con Giovanna, nelle salette comunali di Rivarolo. L’inaugurazione, ieri, è stata una festa di incontri, di amici e di conversazioni. Le donne monocromatiche non hanno mancato di attrarre l’attenzione.


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Il possibile e la parola.


Faccio il giro del lago di Candia. Questa vita è così bella che io l’amo, sia quel che sia!


Sono qui per cercare un pensiero che apra il cuore e nutra la gioia, il desiderio di vita, in tutte le dimensioni.
Vorrei una parola così imponente che coincidesse col tacere.
Una parola che non fosse ciò che io dico ma ciò che mi si dice.


Fa caldo. Già si desidera il conforto dell’ombra lungo la strada sterrata. I prati hanno già cominciato a cantare la loro canzone. Gli alberi prudono gemme di fronde. Fiori bianchi del gallo e violette modeste promettono, con l’abbondanza, un’imminente esplosione di vitalità nella sinfonia della bella stagione.


Due signore stanno cercando la sponda del lago nella pausa pranzo. Hanno le scarpe a punta e l’abito da lavoro. La loro voce è garrula. Mi viene da pensare che le donne rimangono sempre ragazzine quando chiacchierano da amiche.


Sulla collina ovest la chiesetta di Santo Stefano e l’antenna radio. Un treno rallenta e si ferma un po’ alla stazione, sotto il paese.
Improvviso rumoreggiare lontano di anatre.


Quello che c’è, è bellissimo. E ne godo. Ma improvvisamente, la prospettiva cambia. Ciò che ho davanti agli occhi non mi appare più nelle vesti di ciò che è, ma di ciò che è possibile che diventi. Lo scenario che ho davanti è un mondo possibile. È sconcertante: tutto questo che c’è è un poter essere altro!
In effetti è tutto in moto, trafficato da qualcuno. Ma io vedo che potrebbe essere trafficato altrimenti. È una sensazione che stordisce, vedere le varianti di ciò che potrebbe essere ciò che è lì, davanti a me


Mi scuoto per non rimanere ipnotizzato. Un cormorano sbatte le ali ripetutamente sulla destra, trattenendosi su un palo emergente dalle acque. Sembra uno sbadiglio reiterato.


È tutto estremamente calmo qui. I pioppeti sbuffano a ciuffi dal terreno. Bizzarri a distanza.
La ittadina di Vische, con il suo castello, signoreggia, dalla sua modesta altura, sulla distesa di seminativi che la circonda.


Proprio in questo punto, un anno fa, ho avvertito che le cose che vedevo diventavano parole per dire qualcosa che hai dentro. Ora ho per un attimo l’intuizione di un potere insolito della parola.


Immagino che se riuscissimo a dire in maniera adeguata il nostro desiderio di vita, esso si realizzerebbe davanti ai nostri occhi. Se l’amore che brucia dentro trovasse la parola giusta, creerebbe un mondo.


Mi accorgo che sto desiderando quella parola.

Categorie: Eugenio Guarini