Respirare la vita di pancia

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Respirare la vita di pancia.


Nove anni fa era una svolta. L’ho desiderata così. L’ho interpretata così. Ho voluto che fosse una svolta. Dicevo, come Gandhi: la sera, addormentandomi, muoio. E la mattina, al risveglio, rinasco. Mi piaceva l’idea. Era liberarsi dal passato e ritrovare gli orizzonti vergini. Nascere di nuovo. Mi sembrava che la Vita, nel suo richiamo suadente, chiedesse questo. Promettesse questo. Imparavo ad usare le parole in modo nuovo. Si direbbe magia. Il punto è che diventavo le parole che dicevo. E, quindi, le usavo con maggiore oculatezza.


Prendevo appunti sulle cose che desideravo. Riempivo notes con parole colorate. Era piacevole. Davo via libera a tutto ciò che il desiderio suggeriva. E poi, succedeva, qualche mese dopo, che le cose capitavano. Insomma, tutto quello che capitava, era nei miei notes da qualche mese.
Che fosse una magia?


Ormai lo sapete, non sono portato per le cose esoteriche. Ma ero pieno di stupore e, razionalmente, cercavo di limitare la presunzione della ragione. In maniera da lasciare libero spazio all’imprevisto, alla sorpresa, alla meraviglia. Mi piaceva perfino abbattere le rigide barriere dalla razionalità argomentativa.


Entravo nel mondo dell’avventura, della sorpresa, o …di che cosa?


E oggi sono nel bosco – come lo chiamo io.


Da anni facevo passeggiate meditative lungo l’Orco.
All’inizio di quest’inverno mi è venuto lo stimolo a trasformare queste passeggiate in qualcosa di più attivo. Pulire un pezzo di boscaglia, aprire sentieri. Respirare più attivamente. Prima il machete, poi il rastrello. Poi, ancora, il piccone e la vanga. Ora c’è uno spazio, una sorta di architettura boschiva, o di giardino marginale, segnato dalla mano dell’uomo.


Forse ci sono gli elfi, da qualche parte. Io non li ho incontrati. Certo che incontro i miei sogni con il respiro all’aperto. E mi viene in mente che i pensieri all’aperto, i pensieri che nascono dal respiro, sono pensieri che possono presumere di dare respiro.
Mi sono portato i miei notes e i pastelli colorati. Ho ricavato un piano, sopra un tronco, per scrivere. Do di rastrello, piccono i grossi ciottoli, creo delle strutture, semino, trapianto… e penso, e scrivo.


Mi guardo a distanza, ogni tanto. Mi chiedo: che diavolo significa? E che c’entra? Eppure sono nel mondo, e resto in contatto.


Ho il cellulare nel giubbotto. Mi chiamano qui, prendo decisioni da qui. All’aria aperta. Sto lavorando? Sto giocando come i bambini sulla sabbia?
Il fatto è che mi sento bene. Vedo che il mio desiderio di volare passa attraverso il respiro largo, la grande portata del respiro all’aperto, trafficando con i dossi, gli arbusti, i ciottoli del fiume.


Penso: volare? Volare è respirare la vita. Il respiro di grande portata apre alla vita i pori del mio corpo. Le idee si allargano. I movimenti diventano più cadenzati, più lenti, forse. Ma molto più intensi.
Mi vedo stupido alla scrivania – ora che conosco il pensiero all’aperto.
Amare è annaffiare nel bosco, ancora morto, i fiori della primavera.

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