La vita è dura o un’avventura?

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La vita è dura o un’avventura?


Il professor Papotti, che mi vuol bene, e dirige i corsi dell’Università delle Tre Età (come si chiama adesso) mi telefona il tema del prossimo incontro, dove io faccio finta di essere il protagonista. Mi dice: la ricetta della felicità! Ha letto il mio libro (Da qui a lì) e mi chiede di esporre ai miei coscritti dell’UNITRE la formula magica della felicità. Io ho detto sì.


Di solito dico sì per partito preso. Mi piace pensare che sono diventato un sì, strada facendo. Essere un sì vuol dire non fare tante storie e immettersi negli eventi che ti raggiungono. Vuol dire pensare che qualcosa di buono succederà e non è il caso di fasciarsi la testa. Dico sì, senza domandarmi se possiedo la risposta al quesito che mi si propone.


Beh, di fatto, mi sento molto felice in questi ultimi anni. Mi piace attribuire la circostanza al fatto che sto cercando di seguire i miei sogni e che cerco di credere che l’universo collabori – misteriosamente – a questo insane proposito!
Ovviamente, se sono a digiuno, e cerco di rendermi responsabile, so benissimo che la felicità non la saprò prescrivere in cinque punti. Ma non importa. Perché se sei felice, qualsiasi cosa ti venga in mente di dire, la irradi, la felicità. O, almeno, il desiderio di essa. E sembra che così un orizzonte si apra.


Lo so che molti hanno problemi veri. La salute veramente compromessa. La famiglia con situazioni davvero a rischio. E Vito, il mio parrucchiere, sta aspettando che la sua Signora – come la chiama lui – che è entrata in coma, finisca di patire. E poiché me ne parlava mentre mi tagliava i capelli, io sentivo che non era il caso di manifestare tutto il mio desiderio di vivere e ho anche pianto a certe sue considerazioni. Questi sono problemi veri e non c’è verso. Essere vicini e vivere qui vuol dire commozione, compassione e stupore di fronte al mistero della vita.


Ma molte pene dell’anima sono di diversa natura. Nascono, si sviluppano e crescono alimentate dalla nostra stessa cura. La Montagna Incantata di Tomas Mann ci ha mostrato come la malattia sia suadente e piacevole. Però fa di noi degli esseri decadenti. A meno che non siamo gli scrittori che ne descrivono le volute.


Il fatto è che – come Leopardi e Shopenhauer – crediamo ancora che ad essere intelligenti si comincia a soffrire. Ci teniamo ancora stretti a quest’idea che ad essere consapevoli è inevitabile soffrire. Meglio sarebbe, come le pecore, brucare e dormire sotto la luna, senza sapere…


Ma non potremmo cambiare questo pre-giudizio? Non potremmo sostituire al corrente concetto d’intelligenza quello che prevede che è più intelligente chi riesce a star bene, ad essere felice piuttosto che avere ragione?


Ho scoperto – nella mia piccola storia personale – che molte delle nostre angustie saltano fuori dalla mania di paragonarsi. Non sono come quello, o quell’altra… Ma non potremmo lasciar perdere questa necessità di stabilire confronti e paragoni e decidere di apprezzare quello che siamo e che abbiamo in se stesso, per il semplice fatto che ci nutre e ci fa stare al mondo?


Io, ai desideri, non rinuncerò mai.
Perciò, tutto quel filone di pensiero che mi suggerisce che le mie pene derivano dal desiderio e dalla brama non mi convincerà assolutamente neanche per sogno. Tutto quel filone di pensiero che mi invita a trovare la pace nel nirvana, nell’assenza di desiderio, lo lascio semplicemente perdere – immaginando che voglia stigmatizzare un eccesso, una mania…


Ma il desiderio no, non toccatemelo. È la cosa più viva che ho trovato dentro di me. E sono disposto a vederci le dita del divino. E sono convinto che essere felici per quel che si è, per quel che si ha, non è affatto in contrasto col desiderare quello che non c’è, anche se sembra impossibile. Il paradosso appartiene solo alle parole che noi diciamo per descrivere la situazione.


Caro Professor Papotti – tu che mi vuoi bene – se mi dessi solo un minuto e un punto per la risposta alla tua domanda (La formula della felicità), io direi solo questo: credi nei tuoi sogni, nei tuoi desideri e desidera, desidera, desidera.
Senza pre-giudizi.


DUE NOTIZIE interessanti:
 
VINCENZO GAROFALO, amico pugliese, mi fa sapere che la SESEF, società di formazione su Marketing e Web Communication, che ha l’obiettivo di formare risorse con competenze professionali in grado di utilizzare le più moderne tecnologie informatiche per l’ottimizzazione dei processi di marketing e di  comunicazione, gli ha dato l’incarico di cercare su tutto il territorio nazionale aziende disponibili ad  accogliere i corsisti per un periodo di stage di 500 ore in azienda a partire dal mese di giugno 2006, nello specifico:
1) tutte le grandi e medie aziende (anche della gdo) che hanno al loro interno un ufficio marketing e comunicazione;
2) Società pubblicitarie e di immagine;
3) Società che si occupano di uffici stampa;
4) Società di consulenza e di  servizi;
5) Società che operano sul web;
6) Banche.


L’azienda che darà la sua disponibilità e che inserirà gli stagisti nell’organico, non avrà nessun obbligo né onere. Anzi potrà disporre di una risorsa qualificata in grado di  sviluppare strategie e piani di marketing attraverso il web.
Per informazioni contattare Vincenzo Garofalo
vincigarofalo@virgilio.it, cell 338.3311125.



L’amico UMBERTO SANTUCCI comunica che Change Strategies, divisione Comunicazione e Problem Solving del Centro di Terapia Breve Strategica di Giorgio Nardone, organizza due seminari di una giornata ciascuno, che si terranno a Roma.
I seminari  applicheranno gli stratagemmi cinesi e il dialogo strategico a temi e problemi dei partecipanti, in un’esperienza di “learning by doing” basata sul modello strategico di Nardone e della sua scuola di coaching.
Nell’area download del sito ( qui) puoi scaricare il pieghevole illustrativo intitolato Change Strategies.

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