Pensiero selvaggio

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Pensiero selvaggio



Sì, delle volte si ha quest’impressione: che si cerca di afferrare le cose con le parole e i pensieri e che parole e pensieri non siano in grado di contenere tutto. E allora, se si segue il cuore, si riapre la mano, e si lascia esistere.
Dico “seguire il cuore” perché si avverte che a trattenere le cose, la vita, con quelle parole e con quei pensieri, li si mette in prigione. E allora, il cuore dice di riaprire la mano, di lasciar essere ciò che è, ciò che avviene. Altrimenti si diventa cattivi, prepotenti, si cade in quella che i Greci chiamavano Ybris, tracotanza. E la tracotanza è velenosa. Perché isola dalla fonte pulsante del vivere. Meglio l’umiltà e la resa.


Ma poi ritorna Eros, il Desiderio, che è energia, voglia, passione, esuberanza. E ti rimetti ad afferrare le cose, a provarci, senza remore e dubbi. Eros è anche scaltrezza, inganno, sotterfugio. Eros vuol godere, di tutto: di sesso, di danza, di potere. La ragione è debolissima di fronte ad Eros, e Anima è incantata, sedotta, si lascia prendere e portare, dovunque sia.


Ah, raccontarsele queste storie di vita!
A volte nell’ebbrezza, e nel fervore. Altre volte nella malinconia struggente.


Selvaggiamente, oggi, mi viene di metterla in questo modo. Il problema del cambiamento – ne parlano tutti – è per me il problema di cambiare, voglio cambiare. E immagino qualcosa di simile a questi pensieri. Che non si tratta più di volontà – come una volta. La volontà può cambiare i comportamenti. Ma qui c’è in gioco qualcosa di più. Noi vorremmo cambiare il modo d’essere e di sentire. E vorremmo che il nuovo modo d’essere fosse di più, fosse migliore.


Ai tempi in cui comparve la visione evoluzionistica in campo biologico, si mise a fuoco il concetto di mutazione genetica. Si era deciso che il programma intelligente che determinava la nostra vita fosse nel patrimonio genetico. E si immaginò che mutazioni casuali potessero, a volte, generare caratteristiche più adattive e vincenti rispetto ai mutamenti dell’ambiente esterno. Chi rimaneva ancorato alle vecchie abitudini, cedeva. Chi invece era più adatto sopravviveva e tramandava ai posteri un patrimonio genetico più adatto.


Più recentemente comparvero nell’immaginazione collettiva gli uomini e le donne bioniche. E, contemporaneamente, le intelligenze artificiali che prendevano il sopravvento sugli umani in carne ed ossa – per bravi che fossero. Le ideologie, dalla seconda metà dell’ottocento e poi, con rinnovato vigore, nel Novecento non facevano che predicare l’avvento di un Uomo Nuovo (marxismo e fascismo in questo s’assomigliavano) , dotato di un modo di sentire di intendere e di fare decisamente superiore.


Adesso sentite questa. Nella nostra tradizione religiosa, almeno da duemila anni c’è l’idea della Resurrezione. Che non è solo la prova della divinità di Cristo, ma il concetto che ad un certo punto, quando entreremo nel Regno di Dio, ci sarà una mutazione radicale del nostro essere. E si parla di corpo glorioso e di visione beatifica.


Ora, se non vi ho annoiato con questi riferimenti culturali, mettete insieme tutto questo. Che cosa vi suggerisce – se evitate la chiusura cinica del tipo è tutta una bolla di sapone, illusioni e basta, vaneggiamenti metafisici di menti insoddisfatte… ?


A me suggerisce questo. Che nella consapevolezza umana (cioè nella mia e nella tua) c’è come l’idea che siamo come in una fase di gestazione, un periodo di evoluzione. Che la forza interiore della vita ci suggerisce che saremo veramente noi stessi quando questa nuova nascita, questa mutazione, sarà avvenuta. E che è proprio questa tensione a tenerci vivi e protendere verso ciò che, già nei nostri sogni e nelle nostre fantasie, ci chiama con le immagini più disparate. Sarà per questo che i sogni sono tanto importanti?


Il problema del cambiamento è che io desidero cambiare. Che non mi basta più cambiare il mio comportamento attraverso atti di volontà: voglio proprio diventare un essere nuovo, completo, e non so esattamente come posso provocare questa mutazione. Ma so che deve riguardare non solo il comportamento esterno – che si può fingere. Deve riguardare il modo di essere e di sentire, e anche il modo di guardare e di comprendere, di essere consapevoli. Senza più tanti sforzi di volontà.


Noi stiamo andando – a tentoni ovviamente – in questa direzione. È questa inquietudine che ci rende viandanti. Ma anche vivi. Ognuno di noi ha la sua avventura. Le sue sfide.


C’è una nostra tendenza a produrre regole e a definire le situazioni. Essa risponde al desiderio e al bisogno di fermare le bocce, di avere appigli sicuri. Ma c’è anche una tendenza a uscire dai confini, a trasgredire le regole, ad avventurarci nel buio che attrae. E questo è lo spirito di avventura, che risponde al desiderio di diventare di più e meglio.


E allora mi viene di dire: sediamoci nei momenti di stanchezza sui punti sulle nostre conquiste. Ma, appena ripreso il fiato, rimettiamoci in cammino.
È un pensiero selvaggio?


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Il quadro: Pensiero selvaggio.




 

Eugenio Guarini
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