Fervore
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Fervore
La dottoressa Perris si muoveva con le mani tracciando solchi nell’aria per effetto della verve con cui esternava i suoi pensieri. L’argomento gli era stato suggerito dalla domanda di Angie, alle prese con un problema di crescita esperienziale. O qualcosa del genere.
– E in questo modo, abbiamo tracciato un’ipotesi operativa. Insomma, qualcosa che ci derivava dalle grandi figure del ventesimo secolo – e anche di tempi anteriori, ma stiamo a quelli più vicini…
Ci siamo chiesti: dove risiede il gusto di vivere di queste persone, come Madre Teresa di Calcutta e via discorrendo? Qual è il segreto del loro dinamismo e della loro vitalità?
Abbiamo ipotizzato che la formula consistesse nel non cercare affatto la propria felicità, ma di cercare il senso, il valore. Naturalmente il valore che tale appariva al loro cuore più intimo.
In altri termini, la felicità è la ricaduta, non intenzionale, di chi si occupa soprattutto di realizzare quel valore di cui è portatore. Che è sempre anche un donare agli altri qualcosa che li nutre, li sostiene o provvede ai loro bisogni.
Il gioco comincia con il cercare di sviluppare il proprio dono. E continua lasciando che questo dono diventi dono per tutti coloro che ne hanno bisogno.
La giovane Angie sembrava convinta della validità delle affermazioni che aveva appena sentito, ma girava attorno a una sorta di intoppo degli umori. Qualcosa che dopo averle fatto provare una grande apertura e gioia, si trasformava immediatamente in una punta nostalgica ed amara, tale da farle rimpiangere gli abbracci della mamma. E la rendeva triste. Uno stato d’animo che si esprimeva in innumerevoli “sì, ma”, e perifrasi di ugual tenore.
– Non è possibile, oggi, dedicare la propria vita al bene degli altri. E cosa vuol dire? Di chi? E il nostro bene? Non si dovrebbe amare prima se stessi? In altre parole, una visione sacrificale dell’esistenza è molto deprimente, e comunque…
C’era un vento leggero, nel parco. E le fronde primaverili sembravano danzare ignorando completamente le agitazioni degli animi umani. Come sempre, la natura era pronta a dare suggerimenti a chi la sapesse leggere, ma senza invadenza. Standosene sdraiata nella sua dimensione, operosa e indifferente.
Nel bistrot, la pittura di Evgeny sembrava suggerire l’idea che quello che sento è esattamente quello che è giusto sentire e ne sono fiero. Si trattava di volti di donna sui quali traspariva la presenza a se stessi e l’ascolto attento di quello che avveniva dentro. Nella libertà di essere al mondo così come si era.
Il movimento per la vita sveglia suggeriva, attraverso le emissioni della GRW International, una canzone, piuttosto melense nel suo romanticismo tardo New Age, le cui parole facevano riferimento al fatto che “la tua inquietudine può diventare il motore della ricerca e dell’apprendimento” e che “se non sappiamo dove andremo è proprio logico che sia così, dal momento che esploriamo il possibile e il futuro“.
– Il punto è tenere sveglia la mente, e questo vuol dire alimentare una fiducia a priori. E darsi da fare per esplorare i territori che gli eventi stessi ci portano. Noi donne abbiamo insegnato ai maschietti l’importanza del seguire e dell’ascoltare. Noi conosciamo col corpo il segreto della vita e sappiamo che le decisioni sono solo il colpo di timone nella corrente. Noi abbiamo insegnato ad allargare le vele al vento e a dire: tutto è buono. Noi abbiamo saputo leggere nelle lacrime il dono dell’indipendenza, dell’appartenenza alla vita, prima che a un uomo o a un’organizzazione, o a un progetto. E a muovere le gambe anche quando la fitta al fianco ti mozza il respiro. Abbiamo insegnato ad acquattarci nella penombra per attendere il ritorno della forza, a rischio di diventare preda di una belva feroce. E sappiamo calmare un cane rabbioso accovacciandoci a terra e guardandolo calme negli occhi…
– Da dove deriva questa forza, questa energia? Io vorrei rintanarmi sotto l’ala protettrice di un amante, di un amico, di un marito, di un padre…Non sarebbe questa la felicità? Qualcosa che ricevi da un grande cuore che ti protegge?
– Sì, la felicità è ricevere il dono da altri, e dalla vita, ma non cercarla. L’impegno dev’essere nel coltivare il tuo dono e donarlo. Quello che vale, ecco il punto. E tenersi svegli e attenti, e usare tutti i talenti che hai, e uscire fuori, oltre il confine della tribù e i suoi dettami. Incontro agli eventi. Il successo succede, agli eventi avvengono. E tu ti muovi allo scoperto spinto dall’amore. Quell’inquietudine che ti fa struggere, e rimpiangere qualcosa che non hai mai avuto, è amore della vita allo stato puro. È la forza motrice che ti spinge altrove. Perché ciò che ti rende colmo e pieno e felice è oltre l’esistente. Ma è l’esistente che lo porta in grembo. Impara a farlo partorire.
Sì, insomma, in quegli anni c’era un gran fervore di ricerca e la gente s’interrogava davvero. Parlava molto ma non si fermava alle parole. Sperimentava in prima persona. E c’era grande vivacità interiore. Non un dormiveglia generalizzato. La gente si destava.
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Il quadro: Fervore.
Eugenio Guarini
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