Piante che trasbordano

Il quadro si chiama “Bosco incantato”. Non è necessario ricordare a chi mi legge quanto facciano parte di me queste passeggiate nei boschi. Le dimensioni del quadro sono un metro per un metro, sempre acrilico su tela.
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Piante che trasbordano


Cammino lungo la strada che da Pont porta a Frassinetto…
Mi viene in mente la mia vita da ragazzino, a Monsummano Terme. Tutto il giorno in giro: camminare, scoprire, percorrere, cercare, zuzzurellare, curiosare, annoiarmi, sorprendermi…
Niente da fare. Puoi fare tutto. Come capita.


Puoi semplicemente guardare.
Un muro di pietra panciuto, uno steccato, un grosso noce, enormi cespugli di ortica giovane ai bordi della strada. Puoi leggere con gli occhi sgranati la toponomastica delle borgate: Pianseretto, Panier… Farti risuonare in testa la parola e cercare di scoprirne le origini: Pianseretto…, Panier…


Stamattina, di partenza, era nuvolo. Ora il cielo si apre dalla parte della Val Soana. Mi dico ancora: che culo!


Faccio il gioco delle cose che mi colpiscono, che attirano la mia attenzione senza sforzo…
Una fresca arzilla signora anziana che manovra da sola un decespugliatore. “Mentre è bel tempo…” – mi dice.
L’effetto zebra, ipnotizzante, del tetto ondulato della fabbrica, là sotto, in pianura, vista da un tornante.
Le torri di Pont, in mezzo alla valle. Stanche di manifestare la loro vecchiaia.
Le scalette pulite che portano agli orti e ai prati, accuratamente rastrellati, che regalano ai tuoi occhi il piacevole ordine della terra coltivata!
I frutti del melo, rosso vermiglio, che staccano come una sorpresa sul verde tenace di questo autunno.


Mi piace giocare a non sforzarmi di vedere. Lasciare che siano le cose ad imporsi. A sorprendere. Come quel cancelletto in legno di un piccolo orto cintato, fiancheggiato da un’imponente pianta di rosmarino.


Mi piace sapere l’ora contando i rintocchi delle campane.


E mentre il cielo continua a schiarirsi, una striscia di terra brulica di ravanelli. Comodi muretti, ai tornanti, ti consentono di sostare un momento.
Ho sete. Sono in attesa di una pianta di fichi che si affacci sulla strada. O di una ciocca d’uva sfuggita alla vendemmia.


Senza niente da fare. Lo trovo bello, pacifico, poetico.


Mi piacciono gli alberi da frutta che ignorano i confini della proprietà. Noci, fichi, meli, susini… lo fanno spesso. Lamponi e mori adorano scorrazzare nelle terre di tutti e di nessuno. Il viandante se ne serve…


Mi accorgo che sto metabolizzando la tristezza di ieri. Giunta all’improvviso, dopo pranzo. Sembrava un verdetto morale sull’inutilità della mia vita. Probabilmente era cattiva digestione di un pasto frettoloso e ingordo.


Trovo così bello non avere nulla da fare.
Mi sembra di poter far tutto, qualsiasi cosa mi chiami.
Prima, avevo una sola cosa da fare. Ed ero obbligato.


Mi sorprendono gli scatti dei guardline metallici che si dilatano per il calore. Mi sono tolto la maglia e sono in maglietta smanicata. La mattinata sta virando verso l’estate.


Non è che non voglia dare agli altri. Al contrario. Ma voglio farlo come gli alberi da frutta che trasbordano con i rami il muro di cinta.

Categorie: Eugenio Guarini