Laurette

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Il quadro: Laurette, cm 100 x 100, acrilico su tela.


Laurette


Che Laurette fosse bella, sprigionasse fascino e magia, non è neanche il caso di ricordarlo.
Se si può dire in questo modo, me ne innamorai a prima vista. La vidi al raduno di ippica al club di A., dove ero andato un po’ a casaccio, per prendere immagini e lavorare ai miei quadri.
Me ne “innamorai” nel senso largo della parola, voglio dire che vederla mi affascinava, tendevo a seguirla con lo sguardo e a muovermi nella sua stessa traiettoria, quasi sperando di incrociarla e che capitasse qualcosa che mi consentisse di rivolgerle la parola e di avviare una conversazione.


E di fatto capitò.


Era vicina a un cavallo – lo seppi in seguito che era suo e che il fantino era sua figlia Morgane. Era di traverso, lungo la strada e io andavo in quella direzione – come ho già detto. Ma non sapevo cosa fare.
Ci pensò il cavallo. Che, curiosamente, mosse il muso verso di me in maniera insolita, e sembrava intenzionato a seguirmi. Era una situazione imprevista, non facile da gestire. In qualche modo io desideravo che fosse l’occasione per avviare un discorso, ma non avevo le parole pronte sulla lingua.


Fu Laurette a risolvere. “Sembra che il mio cavallo abbia simpatia per lei” – disse, sorridendo.
In questo caso, è bene che ci presentiamo” – dissi io, tirando fuori tutta la mia intraprendenza.


Ci presentammo e cominciammo a parlare, con un crescendo di concitazione. Lei era figlia di un mercante d’arte, padrone di una scuderia. Era appassionata di cavalli, fondamentalmente per stare vicina a sua figlia. Il marito? Pilota di una compagnia aerea piuttosto in crisi attualmente. Un tragico incidente. Prima del terzo anno di matrimonio. Non aveva più voluto sposarsi. Si occupava di Morgane.


Ma aveva una sua passione. Scriveva poesie.
Me lo confessò con una certa ritrosia. Dopo che la nostra conversazione ebbe raggiunto quel giusto grado di effervescenza.


Certo che mi piaceva. Era bellissima.
Ed era bella la sua voce e il suo modo di parlare.
La sua storia stessa, raccontata da lei, sembrava una storia dotata di un senso. Qualcosa di diverso da un cliché, da una sceneggiatura risaputa.


Naturalmente, le raccontavo di me. E lei sembrava interessata alla storia dell’artista, alle sue scelte particolari, al modo in cui viveva questa esperienza. Era interessata, certo. Ma questo non voleva dire altro che questo. Era la via dell’arte che le faceva luccicare lo sguardo. Era qualcosa che lei stessa sognava.


Forse sono troppo vecchio per cadere preda di un’illusione. Abbastanza vecchio per vedere le cose nella loro sostanza. Laurette sognava l’arte. Era quello l’itinerario con cui alimentava il senso della sua vita. E questo, in sé, mi sembrava bellissimo. Emozionante. Ed era un’emozione regalata aver avuto quest’incontro.


Mi piaceva molto – lo confesso. Ma compresi.
Ci siamo scambiati i numeri di telefono e l’indirizzo e-mail.
E il quadro la ricorda.

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