La carne e l’idea

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Il quadro è particolarmente appropriato a questa newsletter. Si chiama “La carne e l’idea“. Per quegli strani processi della creatività la sua nascita si è intrecciata con le considerazioni di cui parlo nel testo. Resta pur sempre una bella donna, ma quello che mi attira è ciò che sta sotto la pelle, nell’anima. Spero ti piaccia e che ti comunichi un messaggio positivo.


La carne e l’idea


In effetti, stavo proprio riflettendo sulla mia vocazione.
Merda! – dicevo – ho sessantasette anni (tra poco) e questa domanda non ha ancora ricevuto – trovato – una risposta acquietante.
E va beh, che sia quello che sia… Ma la domanda continua a urgere dentro le viscere: Ma tu, Eugenio, che ci fai in questa storia dell’esistenza? Ne hai combinate di cotte e di crude – come si dice – e ancora non sai dare una risposta giusta – definitiva – a questa domanda.


Mi piacciono certe figure della nostra storia. Madre Teresa, per esempio. O Giovanni Paolo II. Mi piacciono. Mi fanno piangere. Non so tu, ma io, se vedo qualcosa che li riguarda, alla televisione, piango a fiotti. Dato che vivo da solo, non ho nessuno scrupolo a piangere e singhiozzare. Voglio dire che non ho da fare i conti con lo sguardo di nessuno. E sono convinto che anche a te viene da piangere di commozione. Se sei una donna, probabilmente, piangerai. Se sei un maschietto, probabilmente, cercherai di frenare un po’ questa manifestazione dell’emozione.
Io sono un maschietto, ma vivo da solo.


Mi piacciono tanto queste figure.


Nello steso tempo, di mia iniziativa, non aprirei nessuna casa di carità, né mi metterei a fare il cattolico praticante. Non so che dire, è così. Mi piace la grande anima, la grande passione, di questi personaggi, la loro caparbia perseveranza in ciò che credevano per sé. Ma non seguirei pedissequamente – che brutta parola! – le loro orme.


E questo che vuol dire?


Sento una sorta di richiamo ad una vita che sia fuori i confini – qualcosa che sia libertà da tutto ciò che si dice si debba fare, essere, e via discorrendo. Ma – ancora! – non so rispondere alla domanda su quale sia la mia vocazione. Non so rispondere in maniera definitiva a questa domanda.


Stavo appunto riflettendo su queste cose. E credo che anche tu, ogni tanto, ci caschi in questo genere di domande. Si potrebbe dire che vuoi ascoltare l’anima?


Stavo pensando a queste cose. Voglio dire: lasciavo che questa domanda prendesse forma dentro i miei pensieri. E mi è venuta questa idea. Te la voglio dire.


Mi piace pensare che quello che faccio e quello che dico aiuti altre persone a credere, ad avere fiducia, a non addormentarsi o – peggio – a non lasciarsi schiacciare dallo sconforto. Mi piace tanto pensare che irradio qualcosa che sostiene la fiducia e la speranza, che alimenta l’energia, il coraggio, l’intraprendenza, che aiuta a sostenere la sfida della paura.
Mi piace tutto questo, ma non potrei mai essere un predicatore, un guru, un saggio che indica la via.


La parte più forte di me mi spinge a descrivere quello che si sente davvero, nell’interezza della concretezza. Voglio dire proprio tutte quelle contraddizioni che uno si trova addosso e che lo fanno sentire una sorta di minestrone di sofferenza, mancanza e, insieme, slancio e positività.
Sai cosa voglio dire. Che certe mattine ti senti terribilmente stanco, privo di energia e privo di slancio. Mentre certe altre mattine, pieno di vigore e di fiducia, sei pronto a spendere tutta la tua vita per una causa sacrosanta.


Questa – immagino – non è la vocazione di un profeta, o quella di un guru. Un profeta o un guru dovrebbero essere già fuori dall’ambiguità, e dal conflitto. Dovrebbero aver già visto una strada di luce. Io, tutto questo, non l’ho visto affatto. Io vedo le cose che mi riguardano: delle scelte coraggiose per seguire i propri desideri, lo sforzo per trovare un collegamento con l’energia buona della vita, e tante prove che ti lasciano ferite, che ti richiamano nella precarietà, che ti sottolineano la mancanza.


Può essere che sia questa la mia vocazione. Descrivere questo dannato passaggio da qui a lì, piuttosto che indicare gli orizzonti felici del compimento.
E come posso farlo?
Le cose che mi riescono meglio sono dipingere e scrivere i miei pensieri.


Se si trattasse di tracciare strategie di marketing, sarebbe tutto più semplice e lineare. Si tratta, invece, di essere quello che si è. E ciò che rende la faccenda incasinata è che non ci è immediatamente chiaro quello che si è. Perciò si va a tentoni.
Meno male che qualcuno ha detto che la cosa importante è il viaggio!

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