La casa della scrittura

La casa della scrittura

L’idea fu importante in quel momento. Era un momento critico. Una sorta d’inquietudine mi visitava ogni giorno, soprattutto sulla sera. Ero turbato da dubbi sulla mia vita d’artista. Io, che ero stato a lungo così colmo d’entusiasmo, ora mi sentivo svuotato d’energia, privo di desiderio autentico. Non capivo perché, anche se, nel profondo, sentivo che avevo bisogno di una scossa, uno strattone. Non mi dispiaceva vivere una crisi, ma niente mi assicurava che avrebbe avuto un esito positivo. Queste cose non si ottengono semplicemente volendo. Doveva capitare qualcosa. E quella domenica qualcosa capitò davvero.

Tutto cominciò con un sogno del mattino. Uno di quei sogni che ti lasciano una traccia forte al risveglio. Nel mio caso, un forte risentimento, un’irritazione cupa, e il ricordo vivido della scena. Il sogno era più coerente dei soliti sogni stravaganti. C’era una grande villa con un meraviglioso parco. Ed era mia. Mi era arrivata da qualche inspiegato colpo di fortuna. Ho sempre sognato di abitare una grande villa in un parco ombroso ed ero intimamente contento che questo fosse avvenuto. Mi sentivo fortunato anche se sapevo di avere pochi soldi, di essere in buona sostanza ai margini della povertà, perché l’attività di pittore non mi rendeva abbastanza. Attualmente, erano mesi che non vendevo più un quadro è c’erano state delle spese grosse, soprattutto per una riparazione al mio vecchio Ranch della Peugeot. Insomma, il mio conto corrente era pericolosamente vicino al rosso.

Tuttavia quella grande villa rappresentava una risorsa immensa, una fortuna vera e propria. Vi avrei potuto lavorare con grande serenità e vigore: era il mio ambiente creativo ideale. Ma questa è solo la prima scena del sogno. Ce n’è una seconda.

In questa seconda scena sto lasciando la villa con la mia auto e non sono solo. Con me c’è B, una ragazza alla quale in passato sono stato molto legato. Una ragazza per la cui perdita avevo sofferto molto. Anche se, a posteriori, attribuivo a quella sofferenza, o meglio, a come avevo saputo reagire a quel dolore, una sorta di maturazione del carattere e della sensibilità. La sua presenza nella mia macchina mi dava un notevole emozione perché era il segno che noi eravamo ancora insieme, o di nuovo, non so…

Nella scena io sono commosso e mi viene di dirle: “Hai visto che bellezza questa villa? Non è meravigliosa?”.

La sua reazione non è proprio l’entusiasmo che desideravo. Al posto della condivisione della mia gioiosa fierezza B abbassa lo sguardo e la voce, come una che ha da eccepire. “Non sei contenta?” Le chiedo? La sua risposta è severa, crudele e lapidaria: “Questa villa ha bisogno di un uomo che sappia curare la casa”. “Mi stai lanciando una critica?” Dico io, imbronciato, per la profonda ingiustizia del commento. Non si rende conto che le mie risorse sono limitatissime e che con quel poco sono riuscito a fare delle cose grandiose e coraggiose. Sono irritato con questa stupida donna e dentro di me rimugino di metterla alla porta. Che se ne vada se questa è la stima che mi porta. È quello che rimugino mentalmente, ma non faccio a tempo a dire niente, perché mi sveglio.

Al risveglio ho forte questo senso di amarezza in bocca. Irritazione e delusione sono l’esito della mia vulnerabilità alla critica. Lascio passare qualche tempo, nella speranza che questi sentimenti irritanti scorrano via e mi chiedo il perché di un sogno che mi rimprovera in maniera così crudele.

Sono giorni che cerco di impegnarmi a riprendere fiducia, a chiedermi cosa devo cambiare per ritrovare lo slancio d’artista.

Poi mi viene in mente che i sogni possono contenere un messaggio cifrato, che meriterebbe un’analisi che cerchi di trarne un insegnamento positivo. É questa la mia teoria sui sogni. Che siano messaggi dell’intelligenza inconscia, messaggi da non prendere alla lettera ma da decifrare, da interpretare. E allora mi ci impegno.

La donna che io amo mi rimprovera di non avere abbastanza cura della casa e per questo non merito la sua stima e il suo amore, questo in sostanza il contenuto manifesto del mio sogno mattutino.

Qual è la donna che io amo follemente? Non è certo B, la cui dipartita ho accettato da tempo. D’altra parte B non sta al posto di alcun’altra donna, per il semplice motivo che non c’è alcuna altra donna che m’interessi. Al contrario, negli ultimi tempi la mia vita da single mi sembra la più adatta, e la più felice, in rapporto alla mia decisione di fare l’artista. Non perdo occasione di dichiararlo agli amici che stanno in coppia, che single è decisamente meglio. A sostegno della tesi porto l’esempio della maggior parte delle persone accoppiate che conosco, le quali non fanno che tormentarsi e logorarsi per problemi che la loro convivenza comporta.

Al posto di una donna, nella mia vita affettiva, direi che è subentrato il lavoro d’artista. “B è la pittura”, mi viene da rispondere, perché sono 19 anni che dedico le mie migliori energie creative al disegno e alla pittura. Ma sento che non è vero. Benché io ami la pittura e l’abbia praticata con passione per tutto questo tempo, so che non è l’attività artistica che desidero di più. La mia passione segreta va alla scrittura!

Lo è sempre stato, fin dagli inizi. Il motivo che mi ha fatto dare la precedenza alla pittura risiede nella circostanza molto semplice che i quadri si vendono meglio dei libri! La preoccupazione di guadagnare a breve il necessario per darmi una vita dignitosa mi ha focalizzato sulla pittura. Ma questo non significa affatto che la scrittura occupi un ruolo marginale nella mia aspirazione artistica.

In questi giorni di crisi il pensiero che lo sblocco del mio stato di frustrazione depressiva si sarebbe verificato nel momento in cui avessi scelto sul serio di fare lo scrittore è affiorato molte volte. Ogni volta ho sentito dentro di me una sorta di richiamo profondo a lasciarmi catturare da questa prospettiva, ma sentivo di non essere ancora pronto. Di qui dubbi e tentennamenti.

La crisi.

Un’interpretazione troppo audace? Presuntuosa? Me lo domando. Ma la domanda non fa che rafforzare la risposta: cos’è che sta al posto della donna amata in questo momento? Cos’è che desidero più di ogni altra cosa, a cosa sono disposto a fare la corte fino a conquistarla? Cos’è che mi dà l’intensa emozione paragonabile solo all’innamoramento? La risposta a queste domande è sempre la stessa: diventare scrittore!

Una volta assunto che la B del sogno sia la scrittura, bisogna prendere atto della circostanza sgradevole che B mi sta rimproverando. Il rimprovero sottolinea una mancanza. C’è qualcosa che dovrei fare e che non faccio. C’è qualcosa che la “donna” amata attende e la cui mancanza mi priva dei suoi favori. Bisognerebbe che io fossi un uomo capace di “aver cura della casa”. Il rimprovero contiene dunque un’indicazione. Si tratta di comprendere cosa significa per riaprire la strada della conquista. Almeno, è quello che spero.

Un vero uomo (un vero scrittore) si prende cura della casa. La casa della scrittura!

Con questa idea in testa, con il proposito di investigare cosa significhi aver cura della casa della scrittura, parto con il camper per una mattinata all’aperto. La giornata è straordinaria, sole e aria fresca. L’ideale per prendermi cura della salute. Il mio corpo sta scontando alcuni eccessi alimentari del passato mentre cerca di fronteggiare alcuni acciacchi dell’età. La passeggiata del mattino è la mia risorsa principale.

Dopo aver fatto gasolio a un distributore mi sposto all’imbocco della Valle d’Aosta, a Montalto Dora. Parcheggio nella piazza vicino alla chiesa e procedo a piedi lungo una stradina sulla destra, che costeggia un canale e si dirige verso il cimitero. In quella direzione si apre una grande pianura alluvionale attorno alla Dora Baltea. Il sole sta sorgendo, l’aria è ancora piuttosto fresca, piacevolmente fresca.

Io cammino e penso. É la mia situazione preferita. Le mie giornate devono tutte cominciare con questa passeggiata meditativa. Di qui, sempre, sono nate le mie idee, le mie intuizioni vitali. Mentre cammino a passo lento e respirando a fondo lungo la strada sterrata che costeggia il canale provo a cercare una versione accettabile dell’interpretazione del sogno.

Il canale è fiancheggiato da due argini alti forse 5 metri. Attorno all’argine che sto costeggiando un prato largo e rasato da poco invita a camminarci sopra, mentre delle transenne che chiudono gli accessi mostrano dei cartelli che proibiscono in maniera perentoria l’accesso ai curiosi, minacciando scivolamenti e annegamenti. L’aria è piacevole, ma il sole comincia a scaldare e io mi tolgo la maglietta restando a torso nudo. Benché mi trovi all’imbocco di una valle alpina, c’è qualcosa di mare in questa atmosfera, che non so spiegare.

Cosa significa prendersi cura della casa della scrittura? Cos’è la casa della scrittura? È il luogo dove la scrittura abita, cresce, si alimenta, riposa, si irrobustisce.

La prima interpretazione che mi viene in mente identifica questo luogo nel corpo. La scrittura, come ogni altra espressione artistica, nasce nel corpo e dal corpo. Ha bisogno di un corpo energico, in buona salute, pieno di vigore sano. Scrivere significa passare molte ore a tavolino, seduto, forse con la postura sbagliata, la schiena ricurva, la respirazione trascurata. La mia scrittura ha bisogno di un corpo pieno di energia. Come la pittura, del resto. Ho sempre pensato questo. La mia arte non sarà espressione di malattia, di debolezza, di stanchezza. La prima cura della casa della scrittura sarà la cura del corpo, della sua salute, della sua energia. E questa uscita mattutina, la mia passeggiata meditativa che può durare anche tutta la mattinata, dove rafforzo il corpo, la respirazione, la schiena, le gambe, è e sarà parte della cura della casa che la scrittura mi chiede.

In effetti avverto un legame profondo tra la scrittura e l’energia del corpo. So delle tante volte che ho provato fatica fisica a scrivere a lungo, seduto davanti la tastiera del computer. Questa fatica disincanta, scoraggia. Voglio arrivare alla tastiera con un corpo forte, schiena dritta, con tutta l’energia per andare avanti a lungo, quanto basta, senza provare stanchezza.

Osservo con meraviglia la città di Andrate, che si affaccia sulla pianura padana a mille metri sul pendio del Mombarone, evocando una città tibetana. Una sensazione di benessere e di soddisfazione incomincia a riempire il corpo intrecciata con il respiro. La percezione che la scrittura parta dal corpo e che l’amore per la scrittura preveda una cura adeguata del corpo mi sembra la conquista di un primo passo della mia ricerca. Ma non mi posso fermare qui. Troppo generico, troppo vago.

Ho lasciato la strada sterrata per una stradina più stretta che porta a un ponte in ferro che scavalca il canale e immette in un viottolo in mezzo a campi di meliga. Mi avventuro confidando di trovare un raccordo che mi consenta di ritornare, con un largo giro, al punto di partenza. Un rumore improvviso mi provoca un sussulto. Un piccolo cinghiale esce dal granoturco, attraversa il viottolo a dieci metri di distanza e s’infila rapido nella coltivazione dall’altra parte del sentiero. Mi metto a fantasticare per qualche secondo sulla circostanza. Immagino perfino di catturare un piccolo cinghiale con armi di fortuna: pietre, bastoni? Fantasie infantili. E ritorno a bomba.

Un altro aspetto della casa della scrittura è anch’esso legato al corpo, ma ha una definizione più precisa. Si tratta del piacere di narrare, del gusto di raccontare. Capisco che è importante e che è qualcosa che non possiedo in maniera sicura. Ho l’esperienza della scrittura di brevi testi e so che la mia tendenza è quella della fretta. La fretta di dire. La fretta di raccontare. Una fretta che rovina tutto. La fretta è come l’esigenza di liberarsi di quello che si ha da dire. Un po’ come defecare. Lo fai il più rapidamente possibile per uscire da quello stato di imbarazzo che provavi con l’intestino ingombro. Dopo che ti sei liberato, dopo che sei andato di corpo, ritorni nello stato di benessere. Ti sei liberato. Questo atteggiamento, vissuto con la scrittura, non rende, non è fecondo. Mi viene da fare un paragone anche con certo sesso, fatto rapidamente, soprattutto per liberarsi dalla tensione. Una sveltina non è erotismo, è sfogo.

Lo scrittore non va avanti se ha un rapporto simile con lo scrivere, con il raccontare. E io, lo devo ammettere, sono stato e tendenzialmente e sono troppo incline alla fretta di dire. La fretta è grave perché significa soffrire mentre dici. Devi dire, ti sei imposto di dire, ma non provi gusto, non provi piacere. Il gusto della narrazione è la qualità vitale, corporea perché si tratta di un’emozione, che rende possibile la vita dello scrittore come vita felice e feconda. Il gusto di scrivere si prende tutto il tempo che desidera. E desidera avere tutto il tempo che ci vuole perché la situazione sia raccontata adeguatamente, provochi lo stato d’animo che desidera provocare, susciti le emozioni che desidera suscitare. In qualche modo il gusto della scrittura, che è anche il piacere di battere sulla tastiera, si ricollega al gusto della musica. La musica essendo infinitamente privilegiata, perché riesce in pochi secondi nell’intento. Ma lo scrittore che sogno è lo scrittore che cerca con la narrazione, e con il gusto delle parole, delle frasi, di imitare il compositore musicale. Il gusto del narrare, del raccontare è l’erotismo della parola, del racconto. E l’erotismo non si stanca mai di ciò che gli dà piacere ed eccitazione. Curare la casa della scrittura viene così a significare non solo occuparsi della buona energia del corpo, ma anche educarsi al gusto del narrare.

Il mio percorso in mezzo ai campi aveva raggiunto il territorio di Borgofranco. Seguendo la direzione indicata da alcune villette che erano comparse ad est sono arrivato alla statale 26, che è la strada che collega Ivrea ad Aosta, attraversando tutta la valle. Spostatomi a sinistra, nella striscia riservata ai pedoni, mi sono incamminato verso Montalto cercando di tenere d’occhio il traffico, che stava cominciando ad essere sostenuto. Rapidamente sono entrato in Montalto, ho raggiunto il camper, ho fatto rifornimento di acqua minerale alla fontana di distribuzione che si trova proprio dietro la piazzetta in cui avevo parcheggiato e poi ho ripercorso con il veicolo un tratto della strada fatta precedentemente a piedi. Ho parcheggiato sul prato rasato che avevo ammirato vicino alla diga e mi sono preparato da mangiare. Degli spaghetti conditi con un vasetto di sugo di cinghiale. Ho bevuto acqua minerale, senza toccare il vino. Dopo aver rigovernato, mi sono steso al sole, abbandonandomi a una sonnolenza tenue e delicata. Avevo la sensazione che questa nuova scoperta rappresentasse davvero un passo avanti. Avrei coltivato il gusto della narrazione, mi sarei pazientemente addestrato a questo atteggiamento. Sentivo che ne ero capace.

Poi sono ritornato a casa. Mezz’ora di guida lungo la Pedemontana. Mi sono riposato un po’ sul letto. Poi ho ripreso la riflessione. Aver cura della casa, questo era il punto. Il gusto di raccontare, qui ero arrivato. Il gusto di narrare voleva dire niente fretta, voleva dire provare piacere nell’andare adagio. Ma voleva dire anche altro. Voleva dire la capacità di tenere presente il lettore.

La casa della scrittura ha un luogo dove il lettore è presente, dove lo si osserva, dove le sue reazioni sono oggetto di cura e di attenzione. Questo lettore abita, prima ancora che davanti alle tue auspicabili pubblicazioni, nella casa stessa dello scrittore. Anzi, nel corpo stesso dello scrittore. Il test del lettore è incorporato nella stessa sensibilità dello scrittore. Lo scrittore è il primo lettore di se stesso.

Scrivere, dunque, e farlo lentamente, col piacere di raccontare, ascoltando la propria narrazione come il lettore cui sono diretto. Il che vuol dire che devo imparare a meravigliare me stesso, a sorprendermi, a evocare in me per primo stati emotivi, slanci del cuore, lampi di intuizioni. Facile a dirsi. Ma ne sono capace? Non è una domanda quella a cui devo arrivare, ma un’affermazione. Ne sono capace, ci provo e sarò sempre più bravo. Sarà una parte fondamentale della “cura della casa”.

Intanto era arrivata la sera. Una cena sobria a base di gamberetti, focaccia e vino bianco. Le zanzare tormentavano le caviglie, la luminosità del cielo dopo il crepuscolo era avvolta da una leggera foschia. Per la prima volta, dopo tanti giorni penosi, sentivo pulsare dentro la fontana della vita. Mi sembrava che si fosse aperto un varco e che un orizzonte nuovo affiorasse. L’essenziale era che avevo deciso di seguire la chiamata. Che ero pronto ad affrontare le sfide che si presentavano. Che avevo già incominciato a farlo con successo. E sapevo che questo era solo l’inizio.

 Eugenio

Categorie: Eugenio Guarini