Categoria : Eugenio Guarini
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È il quarto giorno da quando ho fatto il sogno della villa. Il sogno che mi chiedeva di prendermi cura della casa. Non ho fatto che pensarci. Ho camminato ogni giorno, per pensare all’aperto. Ho incontrato Antonella e Lia sembrerebbe solo per poter pensare alla faccenda da altri punti di vista, per potermi interrogare testardamente sul significato di questo invito. Ho tirato fuori considerazioni che mi hanno sospinto lungo le strade del pensare. Questa mattina – di nuovo in piedi alle quattro! – sono partito per il Lago di Viverone con l’intenzione di fare la stessa cosa: pensare.
Ho camminato in posti bellissimi, vigneti, giardini e frutteti incantevoli. Contemplando un’ansa del lago provavo sempre meno il desiderio di pensare e sempre più il semplice fatto di camminare e guardare. A un certo punto, ho sentito al telefono un’amica che mi ha parlato di Gilles Clément e del suo libro recente: “Piccola pedagogia dell’erba” – che subito mi sono proposto di leggere – ma, per il momento, preferivo rimandare il ricorso alle parole, anche quelle di un libro allettante. Muovermi in mezzo al “giardino planetario” – il concetto, bellissimo, è di Gilles Clément – era tutto quello che sentivo il desiderio di fare, muovermi e guardare. C’è una fase del guardare che precede il guardare esperto, il guardare che sa i nomi e le funzioni. Ero completamente assorbito da questa fase: dal guardare ignorante. E benché una parte di me protestasse perché non avevo voglia di ricorrere a parole, mi rendevo conto che desideravo cedere fino in fondo al semplice contemplare e respirare e assorbire con la pelle.
Ho trascorso così tutto il giorno, fuggendo da ogni attività che comportasse il ricorso alle parole. Il caso – ma esiste il caso? – ha voluto che a un certo punto del pomeriggio telefonasse Antonella, la ragazza clown che ho intervistato per il mio blog. Era molto felice per l’esperienza della chiacchierata e per il video che è stato messo su Youtube. Aveva una proposta da farmi.
Io ascolto il corpo per avere conferma di certe inclinazioni, di certi orientamenti che si plasmano in quello spazio non ben precisato dove si formano le mie decisioni. Ascolto il corpo perché so che sotto sotto comanda lui. So che la mia mente non potrebbe produrre altro che razionalizzazioni che rendono i desideri del corpo accettabili, se non encomiabili. Questa voglia di tenermi lontano dalle parole pensate, dalle parole concetti, dalle parole che dimostrano, sviscerano, spiegano, intuiscono, scoprono, questa curiosa sonnolenza di parole che mi ha governato tutto il giorno, questa voglia di attenermi al camminare, al vedere, sentire, odorare, toccare, mi pare voglia dire qualcosa. Qualcosa come liberare la parola dal dominio del concettualismo per ritrovarla sul terreno del movimento vitale, corporeo, espressivo, emotivo, sensitivo, magari teatrale. Uno che vuole fare lo scrittore non può abbandonare la parola, ma la essa ha altre dimensioni, più vicine al corpo e alle emozioni. Sì, bisogna che sganci la parola dalle catene della logica filosofica, che l’affidi alla poesia, al teatro, all’oralità narrativa…
Ed ecco che Antonella mi porta a casa la Lingua dei Segni. Questa lingua dei sordomuti che è teatralità pura, espressione emotiva e sentimentale per eccellenza.
Zio Piero:
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