Una scrittura che sia io
Il quadro Risalire il colle, smalto su tel cm 80 x 80
Una scrittura che sia io.
L’idea è quella di una prosa ritmata, una scrittura come musica, come spartito. Un pensiero che si esprime in una scrittura-orchestra-che-suona, e anche corpo-che-danza. Un balletto… Una scrittura che annota un’oralità musicale coniugata armonicamente a movimenti del corpo ritmati, come in un balletto. Dove scrivere è dunque operazione di tutto il corpo connesso con l’anima, per così dire.
Essere me stesso, cercare me stesso… che intendo?
All’inizio c’era una sensazione strana che a parole può essere tradotta in questo modo: così come stai vivendo, così come sei, quello che fai, il mondo in cui abiti, il tuo stile, il modo con cui affronti le cose, la gente che frequenti, la comunicazione che intrattieni,…tutto questo è lontano da come vorresti sentirti. Così non sei tu.
Un disagio che viene interpretato come un essersi persi, distratti, fuorviati, lontani da sé, smarriti: questo non sono io. Mi guardo allo specchio e non mi riconosco.
C’è un richiamo fortissimo a mettersi in cerca della propria verità, di una sincerità profonda, di autenticità. Un modo di essere, di fare, di sentire, di pensare, di relazionarsi, nel quale io possa sentirmi identico a me stesso, che sono proprio io. L’esperienza di questo richiamo può essere molto eccitante e mobilitante. Spinge a fare, a cercare, a provare, tentare, capire..
Un po’ a tentoni.
Infatti, non trovo dentro di me un libro in cui è già scritto quello che sono davvero e che quindi devo essere. Questa metafora è troppo vaga e ambigua. Suppone che quello che io sono sia già definito da qualche parte.
Al contrario la confezione del messaggio che mi rivela a me stesso è un’operazione che faccio io. Ciò che troverò, in un certo senso, lo avrò inventato. Non un’invenzione che si eleva su un terreno del tutto arbitrario, un vuoto assoluto, dove sarebbe possibile inventare qualsiasi cosa e avrebbe senso. No, capisco che si tratta di un inventare fedele a un richiamo di autenticità. E monitorizzare questa fedeltà sarà un compito dell’inventare stesso. Un po’ come quando si inventa una melodia e con l’orecchio si controlla se questa melodia è in risonanza con l’armonia che la sottende.
Categorie: Eugenio Guarini