Il pranzo è servito
Questo quadro mi piace particolarmente. Si chiama “Il pranzo è servito”. Il titolo forse è stato suggerito dalla figura centrale che evoca l’immagine di una scodella o qualcosa del genere. Certamente appartiene ai quadri che vengono chiamati astratti perché non si riconoscere niente di preciso, non una donna, non un suonatore di sax, nemmeno una baita o una marina…
Questi quadri astratti si prestano molto bene a incarnare discorsi e pensieri che funzionano in qualche modo da filosofia. O da intuizione. Da visione di cose oltre la pelle degli eventi. Qualcosa che spera di penetrare nel cuore del mondo o della vita.
La bellezza dei quadri astratti, quando sono riusciti, risiede nel fatto che ognuno vi può proiettare dentro qualcosa che riguarda lui stesso. Spesso il senso della sua vita, o della sua ricerca.
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Il pranzo è servito.
Succedono sempre un sacco di cose, qui attorno, e anche dentro di te. A volte sembra una festa. Altre volte un tribunale. Quando arrivi alla sera è come aver finito il pasto. Resta un gusto in bocca e un certo ricordo.
Questa mattina è partita storta. Pensieri!
Sono andato a camminare sopra Ceresole, verso il lago Lillet che era ancora buio. A metà percorso avevo le gambe a pezzi. Ho anche visto un camoscio con una gamba zoppa. Avevo mal di schiena. Non c’entrava niente il percorso. Era la testa.
Va bene, ho detto. Ci sono delle preoccupazioni. È normale, dicevo. E cercavo una strada. Sbuffavo, sai come quando srotoli le labbra, che ti fa ritornare bambino.
Ci sono quelli che “volere è potere”. Io non ce la faccio. Ho bisogno che la vita mi venga incontro. Insomma, che succeda qualcosa. Non sono mai stato il tipo “tutta volontà”. Anche quando ho smesso di fumare è stato perché una bruttissima bronchite mi ha impaurito a morte.
E dunque…
E dunque, a un certo punto sono sceso, con le ginocchia che miagolavano e le caviglie che sembravano invocare una slogatura. Ho raggiunto il algo e sono andato a mangiare il mio panino vicino al rifugio Massimo Mila.
Mentre mangiavo mi riecheggiavano ancora nelle orecchie domande perentorie. Non so se ero un testimone o l’imputato.
Risposte non venivano. Non veniva proprio niente, se non una certa sonnolenza. Allora mi son messo in macchina, ho tirato giù il sedile e mi sono addormentato un po’.
Quando mi sono svegliato, ho guardato attorno. Una coppia prendeva il sole. C’era vento. Una famigliola giocava con una pistola ad aria compressa. Un uomo e una donna, mangiavano su una panca, senza dirsi una parola. Mi sono accorto che il lago era calato di almeno un metro.
E quanto a me, era passato tutto. Mi sembrava di veder chiaro. Quello che dovevo fare e anche come. Non era così tragico. Mi sembrava perfino facile. E divertente.
Io ho il mio passato, come te. Ogni tanto ricompare mostrando il carico delle cose che vorrei non aver fatto, delle cose che mi fanno vergognare o sentire in colpa. Mi sono perdonato tante volte – ma sembra niente!
Mi tocca a ricominciare.
Beh, io non sono uno che dice: “si ricomincia!” e tutto scivola via. Ho bisogno che la vita mi venga incontro, che succeda qualcosa.
Questa volta è successo mentre dormivo. Qualcosa dev’essere successo, santo cielo! Mi sono svegliato che ero un altro.
Mi son detto: vedi, puoi ricominciare ancora. Un’altra volta.
E l’ho fatto.
Categorie: Eugenio Guarini