Tra l’incudine e il martello

Nella foto: Quando la strada è tortuosa ci vuole un bel panorama.


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Tra l’incudine e il martello


Ormai è così: se al risveglio vedo che è una bella giornata, prendo e parto. Raggiungo con la macchina la base di qualche montagna e poi proseguo a piedi, prendendo quota.


Sono rapito da quel silenzio. Che non è un silenzio vero e proprio. È come un brusio di fondo che riassorbe i rumori dentro di sé, tenendoli dietro le quinte. Vicino c’è solo il cinguettio degli uccelli, qualche fremito di frasche, e lo sciabordio dei ruscelletti.


Non faccio storie con me stesso. So che non sono più quello di un tempo. In salita ho dei problemi col fiato, all’inizio. Ma gradualmente tutto si mette a posto, o quasi. La discesa sarà più dura. Le gambe sembrano avere una vita propria e non si sentono tenute a rendere conto alla centrale. Ma anche quelle, una volta a casa, gradualmente, si rimettono in riga.


Ecco, sembra che la differenza stia in gran parte dietro questa parola: gradualmente. Le cose non sono più istantanee – come prima – ma graduali: richiedono tempo.


E il tempo stesso appare sempre di più come una cosa meno scontata, qualcosa che ha un suo segreto, il suo mistero. Per esempio…


Per esempio, salendo, rivedevo dei posti dove sono già stato, anni fa, e non da solo, come oggi – sai cosa intendo. E sembrava che i ricordi di allora si fossero come attaccati alle rocce, ai prati, alle cose stesse. Sembrava che, se fossi passato e ripassato mille volte, guardando quelle rocce, quei prati, quei posti, avrei sempre rivisto le scene, il film, che una volta, che la prima volta…


Curioso il tempo nella testa di uno della mia età. Ma forse dipende dal fatto che bazzico sempre negli stessi luoghi. E’ giocoforza che i ricordi si siano stratificati sugli stessi sentieri… E , sempre salendo, mi veniva da immaginare cosa proverei se fossi altrove, proprio altrove, in Thailandia, o nel Salento… Se fossi in un posto nuovo per la prima volta, il tempo non sarebbe diverso?


E, sempre camminando, pensavo che il punto stava proprio in questo dilemma: ho un passato, che ha il suo peso, e che resta attaccato persino alle cose, alla geografia dei luoghi che percorro, ma ho anche un futuro che sta nelle mie necessità e nei miei desideri. E ognuno dei due cerca di catturarmi completamente, ogni giorno.


Ma è una scelta che non voglio fare. Voglio stare tra l’incudine e il martello. Voglio stare nella terra di nessuno, ancora per un po’. Voglio spingere il corpo a occuparsi di ciò che non esiste ancora, invece di lasciarlo risucchiare in ciò che è esistito un tempo – e questo, senza cancellare dalla vista tutti quei ricordi che salgono a galla man mano che percorro questi luoghi.


Tra l’incudine e il martello…

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