Accettare se stessi
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(dedicata a Ilaria, artista coraggiosa)
Il quadro, monocromatico: Il mio segreto
Accettare se stessi
Mi rendo conto che accettare me stesso esattamente per quello che sono è tutt’altro che una faccenda facile. A volte mi sembra di esercitare contro di me una crudeltà paradossale.
Bisogna certo impegnarsi a migliorare, a sviluppare i propri talenti fino a raggiungere l’eccellenza, rafforzare il carattere e imparare a far fronte alle sfide – e questo comporta una certa disciplina.
Non si tratta di questa disciplina. Questa è doverosa e gratificante insieme.
È un’altra la fonte della crudeltà nei miei confronti e non merita davvero tutto il potere che ha assunto nella mia coscienza.
Ci sono infatti pressioni di tipo sociale o culturale, anche ideale, che si sono inserite per così dire nel mio Super Io, che finiscono per avanzare pretese repressive nei confronti di ciò che sono “davvero” e m’impediscono il rispetto e fin anche il contatto con la mia vera realtà.
Certi aspetti della mia personalità sembrano cadere sotto il dito accusatore di regole e ideali accreditati – e dello sguardo accigliato e critico di amici e prossimi – e finisco per negarli, ignorarli, dimenticarmene, staccandomi così dalla mia concretezza e con ciò stesso dalle energie vitali che mi servono per esprimere in maniera piena, libera e culturalmente squisita quelle stesse caratteristiche.
L’artista, come il mistico, ha assolutamente bisogno di mantenere il contatto con la sua carne e il suo sangue, con le sue idiosincrasie, conquistando una reale indipendenza dalle pressioni delle regole sociali e perfino nei confronti degli ideali elevati di ideologie e dottrine.
Se non lo fa, sente l’amaro sapore della finzione che inquina il suo slancio vitale, anche se la recita lo portasse al plauso pubblico, a sviluppare un ruolo socialmente onorato e rispettabile.
Non è che l’artista voglia sguazzare nella dissoluzione e nella depravazione, perché avrebbe capito la “filosofia dei fiori del male”. L’artista punta alla sublimità, alla bellezza e all’intensità profonde. Ma a salire a quelle altezze dev’essere proprio lui, nella sua carne, nelle sue idiosincrasie, nelle sue “manie”. Non un altro, un personaggio recitato.
La sincerità spregiudicata, per un artista, è un valore che supera ogni giudizio morale emesso dall’esterno sul suo comportamento.
Scoprire, identificare, accettare, coltivare, le proprie caratteristiche personali è un percorso ineliminabile per l’artista. Spesso è un percorso di solitudine, come hanno capito in molti, perché comporta un relativo isolamento, e può perfino provocare ostracismo, marginalizzazione.
E l’artista deve reggere. Perché in certi momenti il bisogno di affetto, vicinanza e riconoscimento è così forte – e inappagato – da spingere alla rinuncia ad avere una propria vocazione, a ripiegare su lidi più condivisi, oppure induce forti sensi di colpa, come se ciò che ti fa una persona unica sia diventato un peccato di cui ti sei macchiato.
L’artista ha il compito di creare uno spazio di rispettabilità sociale alle sue idiosincrasie, di disegnare una geografia sociale per la sua unicità, di raggiungere quel traguardo in cui l’epifania piena del suo talento lo rivelerà come un dono per l’intera società.
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