Una questione di sguardo

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Una questione di sguardo.


È una questione di sguardo – diceva Hellen – Mettetela in questo modo – E insisteva, agitando le mani – Un modo diverso di guardare. Uno sguardo nuovo.


Avete uno sguardo addormentato, uno sguardo di routine, uno sguardo che appiattisce, che riproduce l’uguale anche se per caso si presentano cose nuove. Uno sguardo che uniforma, uno sguardo che filtra i colori delle cose, uno sguardo che uccide ogni cosa…


E scuoteva la testa, nel fervore del suo discorso, di modo che a volte ci sembrava la stesse sbattendo contro un muro invisibile. E questo suo comportamento ci metteva addosso una certa eccitazione.


Non era facile potarla su spiegazioni didattiche, la Hellen. Non ci dovevi nemmeno provare. La didattica non vi fa uscire dal vostro sguardo – urlava!


Bisognava seguirla, se intuivi che ci potevi apprendere qualcosa. E noi, il nostro piccolo gruppo, avevamo deciso di fare la prova.


Hellen ci portò in giro per due settimane piene. Partivamo la mattina presto e si rientrava per cena. Andavamo nei boschi e in montagna, ma anche in paese, lungo il viale, e al lago. Voleva che guardassimo, solo che guardassimo. Guardassimo abbastanza finché non sentissimo che il nostro sguardo era mutato.


Ogni tanto fermava le nostre camminate e ci chiedeva: Cosa vedi? Di’ cosa vedi! E noi dicevamo: Vedo una splendida montagna, una distesa pianeggiante, il corso del fiume, vetrine di abbigliamento, persone indaffarate, il banco del pesce… dicevamo cose di questo genere. E Hellen scuoteva la testa: Non basta! Non basta! Riprendiamo il cammino!


E si continuava in questo modo. Senza spiegazioni.
Alcuni di noi cominciavano a scoraggiarsi. Qualcuno era passato all’ironia, e si era staccato, alzando le spalle.


Una mattina successe.


Fu Diana, la prima. Eravamo su un pianoro di mezza collina.
Incalzata da Hellen, Diana allargò le braccia, con le mani distese, le dita aperte – Me la ricordo bene, perché la fissavo, un po’ affascinato dalla luce del suo volto.


Disse:


Vedo una sinfonia arancio chiaro sollevarsi da innumerevoli dita che spuntano dai seni della terra.


Vedo il fiume ragazzino che ruzzola tra le gradinate del mondo, sbellicandosi dalle risate.


E là, in alto, una mandria di bufali rosa che irrompono mugghiando nell’immensa pianura del cielo.


E noi, guardando dove Diana guardava, vedevamo quello che lei vedeva.


E i boschi di betulle erano diventati migliaia di braccia protese verso il cielo; talvolta, fuochi d’artificio che esplodevano in scoppiettanti zampilli d’argento. E i paesi sulle colline lontane, greggi di pecore assiepate nelle conche a prendere il sole.
I raggi del sole che ci investivano il volto erano trasfusioni di energia cosmica che rimarginava le nostre ferite e l’aria che respiravamo era nettare celestiale che tonificava la nostra anima.
Le antenne della televisione sulle case erano baffi d’insetti mastodontici dai mille occhi e noi stressi eravamo pensieri di carne viva che esploravano l’oceano dell’essere.


Cominciò in quel modo la nostra avventura d’ontonauti.
Hellen era soddisfatta. E continuava a ripetere: È una questione di sguardo. Lo vedete? Lo sguardo che ora avete conquistato ricrea il mondo e la vostra vita.
È con questo sguardo che inventerete la vostra avventura.


Belle Notizie


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Eugenio Guarini
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