Taylorismo della creatività!

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Taylorismo della creatività!


Che il creativo sia un grande lavoratore mi sembra indubitabile.


Il suo stile di lavoro, privo di quella routine che conosciamo nel lavoro tradizionale, può dare l’impressione di mancanza di disciplina, ma è pura illusione. Si può dire che il creativo lavora in continuazione perché il lavoro per lui non è più il lavoro di una volta e tende a coincidere con la vita stessa, perché prende la forma della sua avventura, del suo romanzo personale, della sua storia.


Il lavoro creativo ha molto del gioco, senza dubbio, perché le modalità sono spesso ludiche. Gli piace stare in ambienti stimolanti, informali, che a volte ricordano le camerette degli adolescenti e altre volte richiamano la ricchezza luminosa della natura. Molti creativi lavorano bene camminando nel parco, con pennarelli colorati in tasca e un grosso notes tra le mani. O con un registratore. Comunque si spostano da qui a lì senza sentirsi condizionati alla fissità del posto di lavoro, benché abbiano una tana, un pensatoio, in cui si rifugiano quando è il momento del parto.  Stanno bene nei déhors dei caffè, per esempio, assorti nelle loro annotazioni, sul portatile, e al contempo immersi nel flusso delle persone e nello spettacolo vivace della strada o della piazza.
Ma si è fuori completamente se si pensa che questa sia mancanza di disciplina. I creativi hanno bisogno di tempi di grande concentrazione, in pieno isolamento, e di tempi di flusso di stimoli a ruota libera. E loro sanno muoversi autonomamente e senza impaccio da un tempo all’altro.


Il fatto è che il creativo ha afferrato che le modalità del processo creativo sono molto lontane da quelle del lavoro meccanico. Il taylorismo cui siamo abituai a immaginare il lavoro era una teoria scientifica del lavoro, solo a patto che si trattasse di lavoro meccanico. Una conoscenza sempre più precisa dei processi creativi produce stili di lavoro che sono l’antitesi del taylorismo. Se lì l’efficienza era affidata alla parcellizzazione, standardizzazione, e tempi veloci e costanti dell’esecuzione, l’efficienza della creatività deve seguire una fisiologia del tutto diversa, variabile e avventurosa come la storia di una gravidanza, e assolutamente non inquadrabile in una routine monotona e ripetitiva


Per questo il creativo ama la libertà, l’indipendenza. Non perché insofferente della disciplina, ma perché in questo spazio tempo tutto suo può calibrare il suo lavoro secondo le esigenze che viene scoprendo man mano che prende consapevolezza delle condizioni e dei comportamenti che lo rendono più efficace.


Qualcosa del grande movimento ecologico ha raggiunto nel creativo il centro stesso dell’uomo. Dalla cura degli equilibri naturali, dalla salvaguardia delle specie  in pericolo d’estinzione alla lotta contro l’inquinamento del pianeta, quel movimento culturale ha raggiunto l’ecologia della mente e si estende all’ecologia del lavoro. “Puliamo la terra” ha trovato il suo centro sorgivo nel “puliamo la mente”.


Il grigiore della depressione, epidemia dilagante nella nostra era,  si va sciogliendo nell’anima del creativo non in forza di interminabili analisi freudiane, ma in ragione della gioiosa ed eccitante corrente vitale che è connessa con la liberazione dei processi creativi. L’effetto si trasforma in causa. La salute cura la malattia.


Una volta avviatosi per questa strada il creativo non indugia più un attimo nel parcheggio noioso delle lamentele e dei piagnistei. Se si trova in una situazione incancrenita ne esce senza esitazione. Sa che la buona salute dell’anima è la base irrinunciabile di qualsiasi gentilezza, comprensione,  ascolto e compassione.

Eugenio Guarini
http://www.eugenioguarini.it

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