I fiori del mio canneto

Guarini Newsletter


Indipendenza e creatività


Quando ho lasciato la scuola per intraprendere la mia avventura non sapevo ancora che avrei fatto l’artista, qualunque cosa volesse dire. Quello che sapevo di volere al di fuori di ogni dubbio era la mia indipendenza, la libertà, non essere più dipendente di nessuno, non appartenere ad alcuna organizzazione, non avere un capo o un supervisore. Volevo l’indipendenza nel modo di utilizzare il mio tempo e la mia operosità. Avrei fatto qualsiasi cosa mi avesse consentito di essere indipendente.


Di fatto, mi sono dedicato prima a fare il tutor per tesisti universitari, poi a organizzare workshop personali di pensiero creativo, e solo dopo cinque anni ho preso la decisione di fare il pittore. Successivamente mi sono dedicato alla scrittura dei miei pensieri, al racconto di quest’avventura.


Ho scelto di usare il cervello e le mani dedicandomi a cose che amavo, a talenti che credevo di possedere. Attività che mi gratificavano intimamente, per se stesse. Ho cercato di campare con queste cose. Anche solo sopravvivere era per me un risultato fantastico. Voleva dire successo. Perché? Perché significava indipendenza. Non dipendere da nessuno, decidere di testa mia ciò che avrei fatto e il modo in cui l’avrei fatto.


All’inizio, credevo che fosse una faccenda personale. Il tratto di un caratteraccio, come si suol dire. L’incapacità di lavorare all’interno di un’organizzazione senza entrare in conflitto con capi e superiori, con le regole e i codici di comportamento fissati da altri.


Poi, quando ho dato vita alla newsletter e al sito e gli iscritti hanno cominciato a moltiplicarsi; quando ho cominciato a conoscere personalmente coloro che si erano iscritti, a parlare con loro, a conoscere la loro storia, ho ritrovato dappertutto questo bisogno di mettersi in proprio, questo bisogno di indipendenza, questo bisogno di sottrarsi a organizzazioni insopportabili, alla subordinazione. E di inventarsi personalmente il proprio destino.


Allora, ho incominciato ad afferrare che il bisogno di indipendenza, la passione per l’espressione individuale – cosa che allora veniva stigmatizzata come mancanza di responsabilità e di senso sociale – non era un riflusso egoistico nel privato, ma una forza sociale emergente, qualcosa che apparteneva allo spirito del tempo, una fase nuova della vita sociale, economica, e prima ancora nel sistema di valori.


Diventava chiaro che la passione per la creatività, la passione per quel lavoro personale e affascinante che conduce a produrre nuove forme per affrontare e interpretare i vari problemi della vita, in tutti i campi – una passione che ritrovavo largamente distribuita tra i miei amici interlocutori della newsletter – si saldava indissolubilmente alla passione per il lavoro indipendente, anzi, per l’indipendenza tout court.


Era l’emergere del diritto a usare la vita per esprimere pienamente se stessi, il diritto di sottrarsi alle costrizioni e alle limitazioni imposte sia dalla consuetudini, dal costume più accreditato, dai must sociali, sia dalle regole dell’organizzazione del lavoro che conoscevamo. Il diritto di inventarsi la vita seguendo la propria intima vocazione. Questo diritto faceva corpo a pieno titolo con l’epoca in cui eravamo entrati.


Tra le prime persone che ho conosciuto con la newsletter c’era chi era uscito dall’azienda e si era inventato il proprio lavoro, come Federica che si era inventata ManagerZen, come Simona, che si era inventata Oltretutto, come Daniele, che si era inventato un supermercato on line e molti altri. Il bisogno di vivere creativamente era identicamente il bisogno di essere indipendenti, liberi. E molti avevano fatto il salto. L’avevano fatto ancora giovanissimi, molto più giovani di me. Io li chiamo “i miei amici trentenni”.


Altri, moltissimi, si dibattevano continuamente tra la paura del buio che li spingeva alla ricerca di una qualche forma di reddito garantito (più o meno) rinunciando al sogno e la forte spinta interiore all’autonomia creativa che li faceva sognare di rompere gli indugi. Le loro sofferenze, di cui venivo a conoscenza nelle numerose mail che mi inviavano e nei colloqui – si raccoglievano tutte attorno a questo dilemma.
E trovavano spesso un corollario nell’analogo dilemma che vivevano nella loro vita privata, in relazione a una storia di coppia, o di un matrimonio che vivevano ormai come limitante e costrittivo, con i suoi doveri e il peso delle sue aspettative, e il bisogno di dare alla propria vita un nuovo slancio creativo ed espressivo che aveva bisogno di recuperare la propria autonomia.


Non sono un sociologo. Non sono in grado di dire per conoscenza personale che questo è un tratto distintivo di una nuova classe emergente – anche se lo leggo in certi libri. Sento però che lo spero ardentemente. Perché vedo in questo bisogno di indipendenza una nuova frontiera per l’espressione di un’umanità più ricca, di una vita più significativa. Più vera.

Eugenio Guarini
http://www.eugenioguarini.it

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