Innamorati di se stessi, innamorati della vita
Guarini Newsletter
Innamorati di se stessi, innamorati della Vita.
Nell’innamoramento avviene una cosa curiosa.
È stata messa in evidenza da parecchi osservatori.
Sembra che il ruolo della persona di cui ci innamoriamo sia piuttosto secondario. Insomma, è certo che l’innamorato vuole proprio quella persona, è certo che è la sua unicità, il suo particolare, che costituisce l’oggetto dell’innamoramento. Ma è possibile innamorarsi anche di qualcuno che non ricambia, o che addirittura non sa di essere amato.
Più spesso, l’innamorato vede nella persona amata qualcosa che la persona amata non sa neanche di avere, o che addirittura non ha. C’è chi dice che l’innamorato vede nell’altro un’immagine della sua vita segreta.
Questo fa pensare che – anche se nel nostro sogno ideale i due protagonisti sono innamorati l’uno dell’altro – l’innamoramento sia un evento che riguarda fondamentalmente la persona che s’innamora. Quasi un processo autonomo.
Che sia, insomma, uno stato e un processo che avviene nella persona che ama, piuttosto che l’effetto di un fascino o di un irradiazione della persona che è oggetto di questo amore.
Succede spesso che uno si renda conto di essere innamorato anche quando l’altro rifiuta questo amore, o se ne va, non lo ricambia, o si nega.
E dunque? Che cosa trarre da questa osservazione?
L’ipotesi che uno sia in gran parte innamorato di essere innamorato.
Che l’innamoramento non dipenda del tutto dall’oggetto particolare dell’amore.
Pensiamo ad un’altra circostanza.
A volte camminiamo nel parco, in mezzo ai cedri secolari, alle siepi di biancospino e di olea fragrans, costeggiando le distese verdeggiati dei prati, e ci sembra di essere in un luogo di sogno. La nostra anima è leggera, il cuore gonfio, se diciamo qualche parola è subito poesia… è il paradiso.
Altre volte, passeggiando nello stesso parco, in condizioni oggettive simili, tutto ci sembra indifferente.
Allora?
Quando ci sentiamo in paradiso, la causa delle nostre sensazioni sta nello scenario oggettivo o in qualcosa di soggettivo?
Siamo invasi dallo stato di grazia perché c’è il parco meraviglioso o vediamo il parco in una luce meravigliosa perché siamo già in uno stato di grazia?
È la ragione che sottilizza la formulazione della domanda, perché la ragione osserva da una distanza emotivamente distaccata.
È chiaro che questa distinzione non sorge quando viviamo lo stato di grazia. E quando siamo in questo stato d’animo noi attribuiamo volentieri la bellezza e i nostri sentimenti allo scenario che abbiamo davanti. O l’attribuiamo a Dio, al mistero potente della vita.
Non potrebbe l’innamoramento essere qualcosa di simile? Uno stato di grazia che trova occasionalmente il suo oggetto e la sua causa fuori di sé, senza sottilizzare e senza rendersi conto che invece la sua causa più importante è lo stato di grazia che è venuto ad abitarlo?
Questa distinzione – che l’innamorato vorrebbe davvero esorcizzare per quel che lo riguarda – è diventata più importante nel mondo di oggi e su di essa, in un modo o nell’altro si lavora da decenni.
Perché?
Perché la vita della coppia oggi è diventata più difficile.
Anche se non è impossibile, è raro che un amore nato tra due persone sia in grado di sopravvivere a lungo. Oggi gli amori cominciano già con la certezza che tra non molto finiranno. E l’intesa, la comunicazione, la vicinanza tra due innamorati è diventata piuttosto precaria. Pronta a rovesciarsi, anche presto, in una sorta di guerriglia e di processo reciproco.
Non mi voglio pronunciare sulle cause di questo fatto. Ma sembra proprio che si tratti di un dato di fatto.
Le persone che devono fare i conti con un abbandono, un tradimento, una improvvisa rivelazione di essersi sbagliati in fatto di sentimenti, diventano via via sempre più numerose.
Questa circostanza porta sempre a fare i conti con la propria capacità di sopravvivere, e poi di dare vita piena alla propria esistenza anche in mancanza di un partner che corrisponda i nostri sentimenti secondo i nostri desideri.
La crisi d’abbandono è diventato un luogo in cui viene a galla la questione dell’autostima e dell’amore per se stessi.
Le donne, nella fase della loro emancipazione dai legami di dipendenza da mariti e amanti, si erano orientate verso una sorta di autonomia emotiva che si esprimeva bene nello slogan: sposare se stessa. Questo prima di sposare eventualmente qualcuno.
Mi sembra che le considerazioni fatte sopra sull’innamoramento, la domanda su quanto dipenda da me e quanto dipenda dall’altro la nascita dello stato di grazia chiamato innamoramento, apra una strada percorribile in questo processo che affronta la sfida odierna consistente nell’imparare a vivere da soli.
Ogni epoca ha le sue sfide. Imparare a vivere da soli fa certo parte delle sfide della nostra epoca. È imposta dalla crisi della coppia. Ed è forse la premessa per la creazione di nuovi rapporti tra uomini e donne. Per molti individui è un problema di sopravvivenza emotiva.
Quello che voglio dire è che, nella misura in cui si scopre che la fonte di quello stato di grazia chiamato innamoramento risiede in qualcosa che ci avviene con una relativa indipendenza dall’altro, imparare a vivere da soli, imparare ad amare se stessi anche in assenza di quello specchio meraviglioso di noi che è l’amore di un altro, diventa una strada percorribile.
Molte persone oggi affermano in tutta sincerità di essere innamorate della vita, anche se non sono innamorate e ricambiate da un’altra persona.
Per lo più questo essere innamorati della vita si concentra sul proprio lavoro. Essere innamorati del proprio lavoro è una forma di autonomia dalla dipendenza affettiva. Perché il proprio lavoro è in queste circostanze vissuto come espressione di sé, una sorta di opera d’arte in cui il proprio io ha trovato i modi di esprimersi.
Essere innamorati del proprio lavoro può essere il centro attorno a cui si raccoglie tutta una serie di dimensioni della vita. Per un single il proprio lavoro si esplica in un campo particolare, magari anche in un luogo particolare, ma comporta sempre un raggio d’azione che si allarga: la cura della casa, la cura della propria salute, la cura delle proprie letture e dei propri stimoli culturali, la cura delle amicizie e delle relazioni, dei viaggi e delle esperienze. Perché tutte queste dimensioni si accorpano e si integrano nella creazione dello stato d’animo giusto – uno stato di grazia – che è visto come requisito fondamentale per una vita interessante e sensata.
Il lavoro offre il vantaggio di non essere un legame stretto con un’altra persona. Al posto dell’altra persona si introduce la Vita, gli Eventi, forse il Divino, il Mistero. Al posto delle risposte di un’altra persona ci sono le risposte della Vita, del Tempo, della Società, del Mondo. Un Soggetto molto più Universale e complesso, ma anche meno costrittivo.
Il narcisismo, che Freud vedeva come un ostacolo ad una relazione oggettiva interpersonale, sembra essere diventato la premessa per una vita autonomamente felice, e, semmai, anche la premessa per delle relazioni tra i sessi più libere e meno dipendenti. Forse più creative.
Se una volta l’obbligo morale sembrava richiedere che si amassero gli altri più di se stessi, ora la situazione sembra essersi rovesciata. Amare se stessi è un comandamento che precede l’amore degli altri. E anzi condiziona l’amore per l’altro.
Ogni epoca ha la sua sfida.
Il mondo cambia. Ed è bello e positivo coniugare la propria vita e la propria ricerca connettendola con il destino, piuttosto che con la nostalgia del passato.
Titolo del quadro: Ascolatare la voce dell’acqua
Eugenio Guarini
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