Immaginazione proiettiva
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Immaginazione proiettiva
Te ne accorgi anche tu? Oggi c’è una sorta di microsaggezza diffusa.
Gli individui allargano i propri spazi di vita. La vita diventa più intensa.
Un po’ come col microscopio. Prima si vedeva grosso – grossolano. Con il microscopio il granellino diventa un pianeta. E compare un universo di vita.
Il mondo è come le scatole cinesi, o le matrioske.
Sorprendente!
Una volta si guardava grosso a proposito di successo: fare tanti soldi, acquistare una grande notorietà. Poi abbiamo saputo qualcosa dei drammi delle persone di successo: presi dagli impegni stabiliti dai loro manager, hanno ancora tempo per chiedersi chi sono? Finiscono per vivere in superficie? E boccheggiare come umani? E il successo si rovescia.
Oggi, sul successo, stiamo mettendo una lente d’ingrandimento – se non ancora il microscopio. Vediamo nelle intercapedini dei gesti vistosi.
Piccolo è grande, non è uno slogan che vale esclusivamente per l’azienda.
Questo rende il successo alla portata di tutti: lo democratizza.
Non è certo perché tutti possono partecipare a un quiz televisivo, … o al Grande Fratello. In un certo senso, questa interpretazione lo banalizza.
Piuttosto, si svela l’infinita ricchezza del qui vicino, del quotidiano, di ciò che è a portata di mano. E le persone possono mettersi al lavoro con nuova fiducia.
Tutti possono aspirare al successo. E il successo è quando succede quello che uno desidera e per cui si da da fare. Quando tu puoi dire, guardando qualcosa della tua situazione esistente: questo l’ho sognato! – ecco, questo è successo.
La domanda importante diventa: cosa stiamo sognando? Stiamo sognando qualcosa? I nostri sogni sono nostri, o sono sogni presi a prestito? Addirittura, subiti dalla cultura mondana dominante?
La lente d’ingrandimento è posta sulla natura dei nostri sogni personali. Sono davvero nostri? Esprimono la nostra vera unicità di individui?
*
Ero nel bosco, oggi. A lavorare alla mia architettura.
Mi fa bene alla salute, rinvigorisce le forze. Ma è anche una palestra filosofica.
In questi mesi il paesaggio è mutato parecchio. In quell’angolo di boscaglia c’è la traccia del lavoro umano. C’è qualcosa, nella forma che stanno assumendo dossi, collinette, boscaglia… che mi assomiglia, che parla di me. C’è qualcosa che io vedo come bello.
Quando si vede la bellezza di qualcosa è certo che è qualcosa che ci riguarda, che riflette il nostro mondo ideale. La bellezza è ciò che piace. Ciò che piace è il sogno che portiamo dentro.
Guardavo la forma che sta assumendo la collinetta dietro il focolare. Il sentiero che ho tracciato asportando terriccio, l’incavo tra i due alberi che delimitano la parte superiore del sentiero, le linee che si diramano a destra e sinistra…
Cosa vedevo?
Che una forma ideale, visiva, si sovrapponeva all’esistente, come una foto su un lucido trasparente sopra una foto sottostante. La forma ideale era la bellezza, qualcosa che parlava a me, l’idea. La foto sottostante era ciò che c’era.
Vedendo questo, mi rendo conto che il mio lavoro procede in questo modo: asporto, pulisco, modello l’esistente, guidato dall’immagine ideale.
Ogni giorno qualcosa dell’ideale ha trovato una forma concreta, è diventata il reale.
*
Ai margini di un centro abitato, nella provincia marginale di una grande città, nei piccoli gesti del mio lavoro, sospetto le leggi della vita creativa – come, forse, Galileo, osservando l’oscillare del lampadario, nella chiesa, sospettava le leggi del pendolo…
Se mi chiedi cosa ho imparato da questa esperienza a proposito della tua realizzazione personale, ti risponderei così:
Primo. Aderire con il proprio lavoro all’esistente: l’esistente ha un genius loci da cui non puoi prescindere.
Secondo. Modificare l’esistente sulla base di un sogno che sia il tuo sogno. La visione coltivata della bellezza che scaturisce da te.
Se tu vedi l’esistente ostile nei tuoi confronti, nemico, estraneo, sarai portato al risentimento, alla rabbia, all’aggressività, o alla depressione.
L’esistente è bello. La bellezza si rivela solo se sei capace di amare.
Lo sai già. Quando hai amato quella persona, la vedevi bella. Guardarla con amore rivelava la sua bellezza.
L’amore è ciò che consente di vedere la bellezza di ciò che esiste.
Ma tu hai anche un sogno. E anche il sogno ha la sua bellezza che rapisce.
Coltivare il proprio sogno significa proiettare dei film, delle diapositive interiori. Coltivare il sogno vuol dire annotare sul tuo quaderno, quotidianamente, gli aspetti che renderebbero la tua vita una grande vita.
Il sogno ha una sua dimensione indipendente dalla realtà esistente. Eppure scaturisce da ciò che tu sei come il germoglio dal seme, il fusto dal germoglio, la fronda dal fusto, i fiori dalla fronda…
Poiché la cultura dominante è realistica, molti di noi hanno smesso di coltivare i sogni. Hanno dimenticato come si fa a sognare.
Bisogna riprendere questo lavoro in mano.
Bisogna che lo facciamo in maniera da riuscire a sovrapporre all’esistente, guardato con amore, l’immagine bella scaturita dall’esercizio del sogno.
Quando siamo capaci di questa sovrapposizione, il lavoro sa cosa fare. E giorno dopo giorno modifica l’esistente, nel rispetto del genius loci, e lo piega a incarnare il sogno.
Anche Michelangelo vedeva la figura già racchiusa nel blocco di marmo. Il lavoro dello scalpello doveva solo togliere il di più e liberarla.
Coltivare il sogno è un lavoro. Bello, appassionante, emozionante.
Uno dei miei motti preferiti è: se sei capace di immaginarlo, sei capace anche di realizzarlo.
Il sogno si coltiva costruendo immagini che lo rappresentino, che lo dispieghino.
Lo si fa, spontaneamente, nelle fantasticherie.
Si può assumere la responsabilità attiva della fantasticheria.
Svilupparla come farebbe un regista fantasioso.
Il sogno, una volta innescato, cresce da solo. Come le opere d’arte nelle mani degli artisti.
E guida i tuoi gesti.
È il sogno che parla di te, che fa uscire all’aperto quello che sei nella ghianda. Il sogno è l’epifania della tua anima.
Il quadro, realizzato dopo cena, si chiama Un film chiamato desiderio. Come vedete è in sintonia con i pensieri che mi stanno frullando in testa.
Categorie: Eugenio Guarini