Una certa struggente inquietudine

Il quadro: “Una certa struggente inquietudine” è, di fatto, il ritratto di una cara amica. Il pittore aspira a ritrarre un’anima più che un contorno di figura. Aspira a cogliere un tratto che parli alla sua immaginazione in maniera da consentirgli di dire: è lei! Per questo non deve sapere tutto. È importante che i primi incontri filtrino pochi elementi – magari un’illusione. Ma spesso ci prendono: colgono nel segno.


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Una certa struggente inquietudine


Era sole, stamani, e dunque… via per la strada del Misobolo, e poi, attraverso i boschi, sulla via di Montalenghe, e ancora giù, verso Cuceglio e la Gerbola e, infine, San Giorgio, dove avevo lasciato l’auto.
Perché ormai è chiaro che camminare non è solo con le gambe ma anche con la testa.
E riflettevo su questa spinta interiore che sa di struggimento inquieto, e, nello stesso tempo, su questa pace e serenità profonda nel guardare semplicemente ciò che ti sta davanti, nel vedere la bellezza che affiora tra le cose.


E, camminando, vedevo come questi due aspetti che insieme sembrerebbero non poter convivere, al contrario, di fatto, fanno coppia amabilmente.


E io mi dicevo: ecco questa scoperta, che forse solo la mia età mi poteva dare, della pace e della beatitudine che solo la lentezza può procurare – questo bere a sorsi lenti il succo della corrente – e, insieme, questa voglia di costruire, di edificare, di coltivare, questa voglia di cura, affinché i semi germoglino, le piante crescano… Questa voglia di non star mai fermo, di muovere sempre le mani e la mente e la parola…
 
E certo che sogno ancora di poter disegnare i tratti di un lavoro che sia insieme contemplazione e creazione. E  mi viene in mente l’Aristotele imparato a scuola, quello che attribuiva alla contemplazione il primato – rispetto all’azione – nella vita felice. Allora non capivo come potesse affermare una cosa del genere. Ora sì. E so che contemplare non è pensare sublimi pensieri: è soltanto guardare davanti a sé, vedere lo spettacolo – o certi spettacoli – che si presentano da soli, nella loro luminosa bellezza. Come ciò che nel bel libro “Panchine” – che Daniela, con felice intuizione mi ha appena regalato – Beppe Sebaste racconta di vedere.


Ora comprendo quel piacere, che prima non sapevo neanche immaginare. Ma – lo confesso – vorrei che fosse coniugato con l’agire costruttivo, instancabile e creativo.


È dunque il sogno di un agire calmo gioioso ed efficace, perché in sintonia col movimento tutto della vita, quello che sto disegnando – per la mia vecchiaia o per il mondo intero?


E scendendo giù dalla collina morenica, mentre godevo piacevolmente del respiro profondo, del ritmo del camminare, del sole sulla faccia, esprimevo gratitudine per questa struggente inquietudine che mi accompagna da sempre e non mi lascia sedere troppo a lungo nella gioia.

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