Poeta del sambuco.

1

Dalla mia finestra appare il mondo.
Mi mostra il fianco migliore: le colline moreniche, la pianura attraversata dal torrente Orco e la boscaglia spontanea lungo le sue rive. Poi la pianura con i seminativi. E un cielo – stamani limpidissimo e ancora inchiodato alle stelle – generoso di albe mozzafiato.
Un invito alla meraviglia, allo stupore, alla curiosità, all’esplorazione.
Quest’abbondanza di mondo mi chiama ogni mattina. Non ho gambe e testa abbastanza per la fame che sento.
Una fame che sa di essere un amore che non finirà mai.

2

Mi piace chiacchierare con te, la sera, vicino al fuoco. Mi dici che sarebbe bello e utile, la sera, fare una sorta di pulizia della mente, una specie di doccia del cervello, in maniera da liberarsi degli inquinamenti che inevitabilmente il lavoro del giorno raccoglie.
Me ne parli con metafore e giri piacevolmente attorno al nocciolo del messaggio, che alla fine mi appare chiaro.
Si tratta di ritrovare quella forma di consapevolezza, capace di osservarsi e di osservare quello che si sta facendo, pensando e sentendo, allo scopo di individuare meglio i processi più sani per realizzare il bisogno di conoscere, di fare, di vivere.
Ritrovare una sorta d’ingenuità, capace di ascoltare le esigenze della tua natura di essere umano pensante, desiderante e attivo.
E di dire di sì.

3

Non piangerò per quel che si fa alla terra.
Né darò voce al dolore delle piante.
Molte fra loro, piene di ferite, sono cresciute
dure e pazienti attorno a cicatrici di pietra.
Presterò orecchie, invece, al suono silenzioso
che senza posa cantano alla terra le radici
e che riaffiora ogni stagione
nel desiderio bambino delle gemme.

Piuttosto che becchìno di assassini
sogno d’essere poeta del sambuco,
vate all’ippocastano, dei platani il cantore.
E il liriodendro ricorderà il mio nome in fioritura
e il tasso farà bacche pensandomi a suo tempo.
Scriverò versi lungo i fiumi, camminando,
per una lunga vita e feconda
alle reni forti del pianeta.

È sarà il cielo il mio quaderno aperto.

4
Ho creduto di capire un giorno che se volevo fare il perfezionista non avrei combinato nulla. E allora ho visto la bellezza e il piacere di fare semplicemente quello che potevo.

5

Quando lavoriamo per l’ecologia della mente noi stiamo lavorando per l’ecologia del pianeta. L’ecologia della mente è il presupposto, coerente e logicamente prioritario, per l’impegno che riguarda il pianeta. Ed è un lavoro alla nostra portata.

6

Non è solo che questo è un nuovo anno.
Proprio non ce la faccio ad avere un passato cui pensare con nostalgia. Io sono qui che sogno e progetto, animato da qualcosa dentro che non so neanche come chiamare e che per lo più chiamo desiderio.
È come se non potessi ancora morire, perché c’è qualcosa da fare.
Perché ho qualcosa da fare.
Un po’ come se sentissi di non essere ancora cresciuto.
Ho il desiderio dei bambini di diventare grande.
Mi stupisco di queste parole che mi escono dalla bocca.
Ma qui è come se ogni mattino io fossi appena nato.
E vado in cerca di me, affidato al fiuto e al desiderio.
E alla sera mi dico: domani devo ricominciare.
Sono una fame assoluta. Sconfinata.
E penso con gratitudine che sono ancora vivo e ho energia addosso.
Non è solo che questo è un nuovo anno.
E che io sono nuovo.

7

Lo incontrai casualmente in un piccolo villaggio di pescatori. Era proprio lui, Idriss Aberkane, il giovane e brillante autore di “Liberate il cervello”. Bevemmo un Pastis insieme. Gli dissi quanto mi era piaciuto il suo libro.
Lui è un ragazzo dell’86, pensavo non prendesse neanche in considerazione un anziano di quasi 50 anni più vecchio.
E invece no. Non finiva di insistere sull’importanza di una sperimentazione libera, capace di sfidare le certezze, conformismo e gerarchie figlie delle ideologie del passato. Anche alla mia età – disse – si può e si deve essere innamorati dell’esplorazione, della ricerca, della conoscenza.

8

La bellezza di alzarsi e trovare in regalo un cielo luminoso e promettente.
La casa è molto di più di ciò che c’è dentro: è molto ciò che si vede dalla finestra.
Il corpo è una splendida macchina di gioia quando è immerso nella bellezza.
Il pensiero è pronto a guidare la vita in una promettente colonna sonora d’armonia.

9

Voglio essere un artista, quell’artista che sono dentro, nel tempo della vita. Il tempo è breve. Non voglio perderne standomene alla finestra.

Voglio essere vitale, presente e creativo, ogni giorno che mi rimane. Voglio tirar fuori da me tutto quello che è contenuto là dentro. È questo che dà senso e sapore alla mia esistenza.

Voglio che la mia pittura significhi qualcosa per questo nostro tempo. Per me significa molto. Fondamentalmente accostarmi alla vita con la voglia di gioia e di creatività, fronteggiando in questo modo la depressione dilagante. Ma anche il rancore, la rabbia, che serpeggiano dappertutto.

Voglio preservare la capacità di meravigliarmi e la curiosità per quello che si può fare per rendere il mondo più vivibile, più intelligente, più cooperativo.

10

Un po’ per volta, per tentativi ed errori, mi sono affezionato a un certo modo di procedere, sostanzialmente perché risultava il meno faticoso nell’ottenere qualcosa.

Mi dico innanzitutto: occupati della tua energia, è la base di tutto. Trova i modi per ricaricarti.
Poi mi faccio guidare la desiderio. Lo scruto ogni giorno perché voglio che sia proprio il mio desiderio.
Il desiderio mi spinge a guardare avanti. Mi dico: sii contento e grato di quel che sei e che hai e che fai, ma non rinunciare a quello che desideri, finche lo senti.
È bello che la tua avventura nasca da dentro e si protenda là fuori. Prima immaginala e poi dacci dentro, allenando la tua mente a vedere le opportunità e a sfruttarle.
Ma ancora una volta vai avanti per tentativi ed errori: è il modo migliore (e anche il più gustoso) di imparare.

E adesso che scrivo queste cose mi sento dentro un desiderio di vita così grande che non mi basterebbero mille anni …

11

IMPARARE DALLA TELEVISIONE?

Non riesco ancora a capacitarmene.

Molti anni fa. Estate. Caldo torrido. Sono a Torino con la Diane arancione, finestrini aperti. Sto guidando col pilota automatico. La testa nel limbo.
Fermo al semaforo di corso Palermo. È rosso.

Sulla destra, da un gruppo di ragazzi agitati si stacca una ragazza, gli occhi solcati dalle lacrime, la faccia incazzata. Si avvicina e chiede un passaggio. Anzi, apre la porta e si siede.

Semaforo verde, ingrano la marcia e parto lentamente.
La ragazza, con un gesto improvviso della sinistra, afferra il bollo della circolazione e mi dice: “Quei bastardi non me la danno senza soldi. Ti faccio fare sesso se mi dai 50.000 lire?”

Da questo momento in poi le scene nella mia mente si susseguono rapidissime.

Prima scena: vedo i titoli dei giornali del giorno dopo: PROFESSORE MOLESTA UNA DROGATA! La figuraccia a scuola. Se tento di farla scendere questa urla, e poi, cavolo, ha il mio bollo della circolazione tra le dita!

Seconda scena. Qualche imprecisato sceneggiato televisivo con ispettore brillante e creativo.

La terza scena è già scritta da qualche parte nella mia mente e io sono deciso a recitarla. Fermo l’auto sul ponte della Dora, con la sinistra afferro la mano della ragazza, avendo cura di pinzare tra il pollice e l’indice il bollo della tassa di circolazione. La voce mi esce decisa: “Sei cascata bene, ragazza mia. Sono il commissario Benelli. Ora mi racconti tutto!”

La ragazza mi guarda straniata. Molla il bollo, apre la portiera, esce sbattendola fragorosamente.
Io ingrano la marcia e parto a tutta birra. Sono perfettamente sveglio. E salvo!

Ho capito in quella circostanza che abbiamo una mente brillante inconscia, molto diversa da quella che ragiona lentamente e cauta, pronta ad affiorare in caso di pericolo. Essa è creativa, estremamente creativa.

12

Sì, quando facevo questo quadro, stavo sentendo la famosa canzone di Jacques Brel che alla fine degli anni Cinquanta strappava struggenti sentimenti di passione amorosa: Ne me quinte pas!

Ho voluto dare all’opera quello stesso titolo. E ancora oggi non ho chiaro il perché.

Anche se a prima vista non si capisce la connessione tra i due eventi, ho sempre supposto che i miei quadri fossero segretamente collegati con gli altri eventi del giorno in cui li facevo.

Sono convinto che la rete di connessioni di senso si costituisca a livello inconscio e che solo una parte superficiale di queste connessioni venga alla luce del sole. Questa meravigliosa cosa che è la conoscenza è piuttosto limitata e inconsapevole.

Ma è proprio questo margine di oscurità e di mistero che mi induce a parlare immagini oltre che parole.
Parlare immagini, con la fotografia, col disegno, con la pittura è dare espressione a un processo meno lineare ma decisamente più ricco e complesso del discorso della parola. Questa ha il vantaggio di portare chiarezza lungo il cammino. Il dono di quello è di evocare stati emotivi estremamente ricchi in cui il discorso può pescare all’infinito.

Parlare immagini è una forma espressiva irrinunciabile ormai.

Categorie: Eugenio Guarini