Lettere da Nosolandia 16

Lettere da Nosolandia 16

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Un arte da neuropatico.

Poiché in questo periodo l’instabilità delle gambe e dell’equilibrio m’impedisce di dipingere in piedi i miei amati acrilici di grandi dimensioni, mi sono gettato sul quadro digitale, elaborando diverse strategie espressive. Quelle dei disegni nuvola, come li ho chiamati, mi sembrano molto suggestive. Evocano storie nella mente dell’osservatore, in un’atmosfera sognante e leggera e forse sono un suggerimento a un certo modo di affrontare le sfide quotidiane.

All’interno di questi quadri, vedo che sono sorte molte vele e riferimenti al mare. Questa è un’ossessione…

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(“I tempi d’astenia”).

E succede che arrivino all’improvviso, inattesi e non amati, i tempi di astenia. La chiamano anche “Fatigue” con un termine romantico alla francese. Una debolezza che toglie l’equilibrio, Una sorta di stordimento a metà strada tra il sonno e la veglia. Piacevole per fantasticare. Una sorta di ebbrezza, senza scuotimenti. Ma ostile all’azione e alla consapevolezza attenta e vigile. La prospettiva più vicina è il letto. Il piumone che t’ingoia come una bocca morbida. Mentre il tuo io che protesta, che vorrebbe fare, si zittisce incredulo.

Ovviamente lo so: il corpo chiede, ha bisogno di sonno, di riposo. Mi propongo di resistere ancora un poco e intanto disegno. Il disegno viene bene in questo stato. Meno vigilanza critica. Il subconscio è più libero di andare per i fatti suoi. E a me piace vedere il frutto del suo parto. E lo guardo senza sapere cosa sia. Ogni situazione ha il suo regalo.

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(“Leggere a voce alta”)

Una cosa che faccio, tra le altre, per tenere alto il livello di energia pulita durante questo periodo di reclusione obbligata è di leggere quel che ho deciso di leggere… ad alta voce. M’immagino di esercitarmi a diventare un lettore.

Quando sono andato in Toscana alla presentazione del libro che ho fatto insieme a Federico Masti, dando realtà a una piacevole collaborazione su Facebook, ho conosciuto un’associazione meravigliosa (quasi tutta al femminile) che si chiama Nati per leggere.

Al sabato vanno in diversi locali a leggere i libri ai bambini. È una cosa così bella che me ne sono innamorato. So che ci sono diverse associazioni del genere. E ho pensato di esercitarmi un po’ per partecipare anch’io a qualcuna di queste iniziative, o d’inventarmi delle occasioni per farlo per conto mio. E magari non solo ai bambini. Che dire delle case di riposo, o delle corsie d’ospedale?

In questi mesi di prigionia mi sono circondato di montagne di libri, d’ogni tipo: dai saggi ai romanzi. Leggere è bellissimo, ma a leggere troppo ti stufi, perché t’ingozzi di pensieri, mentre sei scarso d’azioni. Leggere ad alta voce, l’ho trovato un espediente simpatico per rompere la monotonia della lettura mentale. Leggere diventa un’azione del corpo. E poi. Per rinforzo, ho pensato di esercitarmi in questo modo a leggere ad alta voce e con senso quando verrà il momento. W Nati per Leggere!

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(“Sole e fuoco”)

Ieri e stanotte le mie gambe erano più pesanti. Ho avuto l’impressione di ritornare indietro, di perdere terreno. Veronica, la mia fisioterapista, mi ha detto che succede: “Fai dei progressi, anche abbastanza velocemente, poi il processo si ferma e ti sembra di tornare indietro. Non ti devi preoccupare: passerà e il cammino procederà ancora”. Le credo, ma sopportarlo mi risulta difficile. Aspetto il bel tempo, immaginando che mi darebbe uno stimolo in più per uscire dal torpore. Ma questo Aprile, ogni goccia è un barile. Quando viene il sole?

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(“Risalire la china”).

Sono molto felice dei progressi che ho verificato questa mattina. Sono andato al supermercato con il solo deambulatore. Non ho preso la carrozzella perché ho sentito che le gambe mi reggevano meglio e potevo camminare con una velocità accettabile (senza intasare il traffico!). Ho fatto la mia spesa con molta soddisfazione. In piedi si vedono i prodotti molto meglio che da seduti. Ho incontrato diversi amici, anche tra i dipendenti del Supermercato, che stanno seguendo su Facebook le mie vicende e tutti mi porgevano congratulazioni e incoraggiamento. Soprattutto il senso della loro stima e dell’affetto mi faceva bene. So che è stata segnata un’altra tacca nel processo di guarigione.

In questi giorni ho anche parlato con diversi amici, in diverso modo malati, che mi hanno raccontato il loro stato d’animo. Sono rimasto colpito e in un certo senso addolorato nel sentire che alcuni di loro sono molto trascinati verso una situazione depressiva (per fortuna non ancora grave credo). Qualcuno, cui sono molto affezionato e che ha la mia stessa età, è convinto che la pillola prescritta dal terapeuta è un destino irremovibile. Ha anche sentito la necessità di aumentare la dose. E ora “la depressione è sotto controllo”.
Le sue parole m’inquietano, non perché sia contrario in maniera assoluta e previa ai farmaci, ma perché ho creduto di intravedere una sorta di rassegnazione. O forse, qualcosa che mi disturba anche di più: l’accettazione saggia della fine che arriva. Ovviamente non so con grande precisione che cosa significa, ma sono un po’ destabilizzato: il mio amico a abbandonato la lotta o ha conquistato una superiore saggezza?
E perché io tengo tanto alla vitalità e ci lavoro con tanto impegno fin dal risveglio? Meditazione, visualizzazione, esercizio fisico e scrittura, per ricreare la mia determinazione a perseguire il miglioramento di me in maniera gioiosa e creativa. Tutti i giorni.
Lo so che non si può generalizzare. Racconto quello che faccio per impegnarmi anche pubblicamente a tenere alto il livello di guardia. Semmai a qualcuno suggerisse qualcosa. Sono convinto che il lavoro interiore influisca sul comportamento e in qualche modo spinga ad agire in maniera da contribuire alla guarigione e a liberare dagli influssi negativi dei pensieri di rinuncia, abbandono. Non voglio accontentarmi della mediocrità e cadere nella rassegnazione. Voglio dare il meglio di me alla vita, agli altri, al miglioramento del mondo.

Ma è anche possibile che questo significhi semplicemente che la mia esistenza ha ancora un gran vuoto da colmare, mentre quella di altri dà loro la sensazione di aver compiuto tutto quello che dovevano. E che ora possono morire.

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(“Terrazza sul mare”)

Seduto sulla terrazza che guardava il mare, le disse con convinzione assoluta:

“Ora mi è chiaro: questa malattia non è una sfida da affrontare, è la mia grande occasione!”

Mi è venuto questo pensiero appena fatto il disegno. La mente inconscia viaggia per conto suo e ogni tanto fa capolino nella coscienza rivelando le proprie intuizioni.

Infatti le cose sono cambiate rispetto all’inizio. La malattia non è più semplicemente una sfida da affrontare con coraggio e atteggiamento fiducioso. Si è rivelata un’occasione formidabile per il mio desiderio di realizzazione. È come se avesse tirato su le coperte e svelato il mio sogno reale che ci sonnecchiava sotto, intorpidito. E non era semplicemente ciò che credevo di aver già realizzato. Era molto di più. La malattia mi ha fatto scoprire che disidero molto di più dalla mia esistenza. E intravedo l’opportunità di mettermi al lavoro con una determinazione molto più forte.

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(“L’aperto”).

Il ciliegio, in ritardo, è esploso e si è vestito a festa, qui sotto.

La Quinzeina e il Verzel, rilucenti contro un cielo veramente cielo.

Gli uomini al lavoro, negli orti adiacenti alla provinciale.

Il verde bambino delle foglie, un trionfo da Giardino d’Infanzia, dappertutto.

Le colline si sono rinnovate, più giovani, direi.

E poi dentro il Supermercato, dopo aver parcheggiato in terrazza, al sole.

Questa volta senza deambulatore: il carrello funziona altrettanto bene.

Il personale, che ormai mi conosce, sottolinea con affetto i miei miglioramenti. Li abbraccerei tutti, uno per uno.

E poi il giro tra le corsie: il pane rustico, là in fondo; poi alla frutta: aranci, limoni, mirtilli, lamponi, fragole giganti rosso maturo, poi noci, mandorle sgusciate, uva sultanina, semi di papavero; alla verdura: rapanelli, rucola e cuori di bue biologici (promettenti come l’altra volta). Al pesce, uno sgombro, una manciata di alici, e una confezione di salmone affumicato. I cioccolatini nero fondente erano d’obbligo.

L’aria è primavera, oggi.

Rientrato a casa, tutte le finestre aperte e io in camicia con maniche corte.

Quanta luce! Che luce!

J’adore!

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(“Promontorio con torre”)

C’è anche quest’altra cosa che mi appare chiara. Facebook consente di conoscere altre persone (anche se non sai mai all’inizio chi sta dall’altra parte, dietro quelle immagini) e di selezionare gente affine, con comuni interessi, o sensibilità. E consente di trasformare una relazione fatta di semplici “mi piace”, in qualcosa che prevede vere e propri scambi di pensieri, scritti ed anche a voce. Consente di fare un passo ulteriore: parlare faccia a faccia, guardandosi, che non è poco. A me sembra chiaro che tutto questo processo tenda ad andare avanti ancora d’un passo: a incontrarsi di persona, a combinare qualcosa insieme, a collaborare, nel caso, a scambiarsi reali in formazioni. Il Web è un grande facilitatore, un grande amplificatore e un grande moltiplicatore, ma non sostituisce le relazioni personali. E, mi sembra chiaro, qualsiasi progetto di collaborazione trarrà grandi vantaggi dall’uso di questo che è il più grande mezzo di rappresentazione inventato finora, ma perseguirà il suo successo ricorrendo nei momenti decisivi alle relazioni interpersonali dirette.

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(“Ansa del grande fiume”)

In preparazione al pomeriggio di venerdì, per assicurare la mia presenza all’incontro, presso la Open Art House di Ivrea, per la chiusura della Mostra (Il coraggio della gioia), la mia amica Patrizia, oltre a curarmi i piedi a domicilio (Sono diventati così lontani, Patrizia!), mi fornisce anche questa volta la sedia a rotelle. Grazie Patty!

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(“Le nostre storie”)

La mia amica R, che soffre regolarmente di nausea e di fatigue a motivo della chemio, oggi sta molto meglio. Ci scambiamo brevi notizie su Messenger. Mi dice che ora sta per portare a teatro le figlie. È a Milano e sta andando al Piccolo Teatro di Giorgio Strehler, dove danno “Questi fantasmi” di Eduardo De Filippo.

Mi salta in testa di accompagnarle e decido di vedere la commedia nella versione che c’è su Youtube. Un modo virtuale per partecipare da casa a un evento mondano. In questo Internet è subito d’aiuto.

Il tema della commedia è interessante: per sopportare la realtà noi ci costruiamo fantasmi, illusioni, in cui crediamo per non disperare. O in cui facciamo finta di credere per opportunismo.

Il grande Eduardo è filosofo di vita. L’artista sapeva come funziona la mente, già prima che il cognitivismo e le neuroscienze avanzassero le loro congetture. Noi costruiamo le nostre vite immaginando storie che ci consentono di fare i conti con la realtà. Sono i nostri film mentali che ci permettono di credere in un senso, in un valore e ci autorizzano ad agire di conseguenza.

“Ecco” mi dico “l’artista è uno che punta sovranamente sul potere dell’immaginazione per inventarsi la vita che sogna. La vita è una scommessa sulla propria interpretazione. La sfida è che la realtà stia al gioco. Non sto facendo anch’io così?”.

Qualcuno ha detto che a essere pessimisti o ottimisti si ha comunque ragione. Preferisco tentare l’ottimismo.

Categorie: Eugenio Guarini