Io canto la vita piena seminata nel desiderio.
La danza delle cose e dei colori.
Lo sguardo che si solleva fino a vedere il bello.
Il gesto spregiudicato di chi vuole essere un “sì” ad ogni costo.
Faccio mie le parole di Antonella (Mata Hari Selenica) su Facebook nel primo pomeriggio: “Voglio un amore folle, furioso, disperato, ingordo, predatore, di miele e pietre, di sangue e luna, di bava e sole, come la vita che sento”.
Sono il re della riaggiustatura, quando faccio uno sbaglio cerco sempre di ricavarne un vantaggio
I litigi tra i miei genitori e la pena di mia madre mi hanno certamente segnato. Da ragazzino non ero semplicemente turbolento. Ero piuttosto insolente. Ho avuto sempre addosso una sorta di pulsione provocatoria suicida, che sento ancora affiorare ogni tanto dai fondali oscuri del retrobottega della mente. Ho sempre avuto un terribile bisogno di essere amato e gratificato. Probabilmente devo a tutto ciò una fame inesauribile di vita. Quella stessa fame che si sveglia con me ogni mattina, mi fa saltare giù dal letto e mettermi in cammino.
Vado tutte le mattine, molto presto, a camminare nei boschi, con una Moleskina in mano. Vado per provare l’estasi della solitudine. Una sorta di beatitudine temporanea, dove mi arrivano i pensieri e le idee che faranno del giorno che viene un trionfo di operosità creativa. Quelle ore, un paio per lo più, sono la sorgente della mia giornata.
La maggior parte degli artisti, disegnatori e pittori, si confina in uno stile unico, il suo e basta. Io ho sempre sentita innaturale questa sorta di costrizione. So di avere diversi stili, o meglio di non averne nessuno. Mi muovo liberamente a seconda della musica che suona in quel momento. Passo da un modo all’altro a seconda delle circostanze. Ma soprattutto voglio tenermi disponibile per nuove scoperte. Non rinchiudermi in alcuna cittadella con l’alibi di perfezionare quello che ho già fatto.
Un artista non sa mai esattamente quel che fa. Due sono i percorsi: sul primo lavori, preghi, rileggi e ottieni. Sul secondo ricevi. Essere a un tale livello che per disegnare non hai bisogno di pensare. Picasso diceva: io non cerco, trovo.
Mi piace pensare che mi sono spostato su questo secondo sentiero. Per disegnare non ho bisogno di pensare. Se mi mettessi a controllare il disegno, funzionerebbe meno bene.
Con colori sgargianti attraversavano il deserto.
“Io non cerco, trovo”, disse l’artista.
È la via umida del percorso alchemico.
La ricompensa a quello che faccio nel disegno, nella pittura, nel pensare è, in definitiva, una sorta di eccitazione interna. Che è anche responsabile della freschezza di ciò che produco. Se finisse quella, tutto si spegnerebbe. E quell’eccitazione è soggetta, come tutto, all’entropia. Bisogna lottare contro se stessi per mantenerla.
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