Un archeologo nei boschi di Locana

Alberto dice che quando aprono le bare nei cimiteri delle grandi città trovano cadaveri che non vogliono decomporsi! E questo avverrebbe perché, mangiando, immettiamo nel corpo, insieme al cibo, tutti quei prodotti chimici, antibiotici, pesticidi, conservanti, eccetera, con cui le piante sono irrorate, gli animali nutriti e gli alimenti trattati. Insomma anche i batteri incaricati di provvedere alla decomposizione di quel che resta di noi dopo il commiato dal mondo, vengono licenziati prima che possano espletare la loro funzione naturale.

 Magari è un aneddoto inventato. Molto efficace però a descrivere il modo in cui percepiamo gli effetti della società industriale di massa. Alberto aggiunge che in Cina il terreno è talmente aggredito dai prodotti chimici che l’impollinazione dei fiori viene fatta a mano da salariati a basso costo, perché gli insetti, naturalmente destinati a questo compito, tendono a scomparire. Esagerazioni! Forse, ma il problema è reale: uno spettro si aggira per il mondo e minaccia le condizioni stesse che hanno assicurato la sopravvivenza e lo sviluppo della vita sul pianeta.

Ma l’inquinamento non è solo chimico. Esiste un inquinamento dilagante che circola nell’organizzazione del lavoro, nella cultura di massa, nell’informazione, nell’intrattenimento. Incontrare e conoscere Alberto mi ha obbligato a farci un pensierino.

– Devi conoscerlo, mi diceva Marco Varda, la guida escursionistica di Locana che ho intervistato una settimana prima. Viene dal Varesotto, ha lasciato tutto ed è venuto ad abitare qui, tra i monti. Ha fatto una scelta di vita.

E così, presi i dovuti accordi, eccomi sul piazzale di Pratolungo, dove posso lasciare il camper, proprio davanti alla casetta in legno dove Marco Pezzetti – anche lui con una sua storia significativa – espone in vendita i suoi prodotti di apicultore. Marco arriva con la sua auto a prelevarmi, risaliamo la strada in direzione Casetti e alla borgata Roncore, con una svolta acuta a destra risaliamo la stradina che conduce fino a una cappella aggraziata, intonacata di giallo, con un affresco religioso sulla facciata, adeguatamente protetto da una tettoia. Qui bisogna lasciare la macchina. Ci sono dei villeggianti, seduti nel dehors della loro abitazione, cui chiediamo di consigliarci dove parcheggiare, vista l’esiguità dello spazio. Son gentilissimi. Veniamo a sapere che sono siciliani e che risiedono qui ormai da quarantacinque anni. In Sicilia ci ritornano solo per le vacanze estive.

Sulla destra, fiancheggiando una casetta in pietra che sembra appoggiarsi indecorosamente a un giovane frassino, parte un sentiero che s’infila nel bosco. Marco va avanti e io cerco di seguirlo con un po’ di fiatone. Dopo qualche minuto arriviamo a un gruppo di abitazioni rustiche, circondate dagli alberi. Sembra una postazione segreta, della quale non e facile trovare l’entrata. Ma alla fine ce la facciamo ed è subito stupore.

Si entra in una piccola corte, ripulita e ben sistemata, circondata da alcune case in pietra, sulla facciata delle quali corre un rigoglioso rampicante e dove fa bella mostra di sé una fontana, con due vasche affiancate. Una casetta, che sembra crescere da una roccia, regala al visitatore una piccola meridiana restaurata sul lato destro della facciata. La corte termina, dall’altra parte, con una porta in pietra, con tanto di arco, attraverso la quale s’intravede la continuazione del bosco, da dove arrivano trotterellando curiose alcune gallinelle, che ci hanno sentito e aspettano del cibo. Ci fermiamo di fronte a una scala che sale a una porta a fianco della quale è stato riprodotto, in una sorta di stemma araldico, un unicorno. Sullo stemma, nell’angolo a sinistra si legge VILLA AQUARII, Villa dell’Acquario! È la casa di Alberto.

Alberto arriva dal bosco, passando attraverso la porta ad arco da cui sono entrate prima le galline.  Ha in mano un contenitore di plastica in cui ha messo delle more. E’ il suo modo di accoglierci. Anche noi non siamo a mani vuote. La mamma di Marco, previdente come solo una mamma sa essere, ha fatto del gelato e l’ha sistemato in un apposito contenitore, in una busta termica.

Alberto Picchioldi deve avere un’età tra i 35 e i 40 anni, ha un fisico asciutto, i capelli scuri raccolti in una coda di cavallo con una fascetta azzurra. Ha il volto gentile e nei modi dimostra il garbo delle persone di formazione classica. Ci introduce nella sala, scusandosi del disordine. In realtà la casa è ordinatissima e tenuta con gran cura. Le assi in legno che reggono il soffitto sono state restaurate con cura, vi compaiono dei fregi ben disposti. Il pavimento in pietra, originario, è stato ripulito con cura, in mezzo si allarga un grande tavolo in legno restaurato, sulla parete di fondo troneggia una sorta di affresco di grandi dimensioni. Riproduce un’immagine classica che mi rimanda ai tempi del Liceo, anche se non riesco a ricordare all’istante.

– È la riproduzione di un sarcofago del III secolo dopo Cristo – dice Alberto che ha notato il mio sguardo incuriosito – viene chiamato il Grane Ludovisi ed è a Roma nella dimora del vescovo Altemps. Rappresenta una battaglia dei Romani con i Goti. Venne ritrovato a Roma nel 1628 se non vado errato. E’ il sarcofago di Erennio Etrusco, che era un generale, ed è raffigurato nella parte centrale. Era il figlio dell’imperatore Decio, 250 dopo Cristo. Suo figlio Ostiliano divenne insieme a Treboniano Gallo, imperatore. Poi Ostiliano morì e non si sa dove venne sepolto. Questo venne sempre ritenuto il sarcofago di Erennio. Dentro questo sarcofago sono state trovate le spoglie della madre Erennia Cipressina e di Erennio Etrusco.

La battaglia contro i Goti è quella avvenuta ad Abritto, nella Mesia. I Goti avevano assediato la città principale della Mesia. Tra l’altro, senatore della città era Treboniano Gallo, che poi divenne imperatore e che pagò per anni un tributo ai Goti affinché non invadessero l’Impero. Ma alla fine i goti sfondarono i confini. In quella battaglia, comunque, cadde Erennio, figlio di Decio. E subito dopo anche il padre, che perse in un colpo la vita e l’impero – come dice lo storico. Il corpo di Decio non venne trovato. Erennio Etrusco venne recuperato, venne sepolto a Roma in questo sarcofago, che qualcuno vuole fatto da un cristiano, ma non si sa!.

Io l’ho riprodotto, perché, mi perdonino Michelangiolo, Leonardo e tutti gli altri, ritengo che sia l’opera scultorea marmorea più bella in assoluto di tutti i tempi.

– Hai fatto studi classici?

– No, io sono un perito elettrotecnico. In storia dell’arte sono un autodidatta. Un po’ per volta, con gli anni. Ho fatto degli studi di mosaico a Ravenna, per capire meglio, per trovare un inserimento nel campo del restauro, dell’archeologia.

Marco ed io ci accomodiamo al tavolo mentre lui va a preparare il caffè. Marco estrae il gelato dalla borsa termica. Sua madre ci ha messo dentro anche l’attrezzo per fare le palline. È stracciatella.

– Dunque è questo che facevi prima di venire qui?

– Sì, ero un restauratore archeologico. Lavoravo come dipendente. Ero capo cantiere… Ho lavorato per tre ditte di restauro, una soprattutto, una ditta di scavi archeologici. Abbiamo lavorato nel Vercellese… è stata una bella esperienza, la rifarei tutt’ora. Però, andare via di qua ora mi dispiacerebbe. Un po’ perché ho questo Titino, questo famoso cerbiatto… Ma non solo…

– Come hai trovato lavoro?

– Ho bussato a mille porte, sono andato al castello Sforzesco di Milano, dalla dottoressa Frontini, le ho fatto drizzare talmente i capelli che probabilmente non ne poteva proprio più di me! Mi ha dato degli indirizzi, ho bussato a tante porte, e alla fine ho trovato.

– Una ditta che lavorava bene?

– Preferirei non parlarne.

– Il lavoro ti piaceva?

– Non c’è cosa migliore che andare a lavorare per qualcosa che ti piace. Mi alzavo al mattino, sapendo che dovevo affrontare tutto il traffico di Milano per andare a Vicenza… Io abitavo a Olgiate Olona, in provincia di Varese. Ho sempre lavorato in trasferta. Si partiva il lunedì mattina, si tornava il venerdì sera, la vita era quella. Si lavorava sul campo. Tanto per citare, ho lavorato alla Porta dei Leoni a Verona, una bella porta romana, con degli scavi archeologici interessanti. Verona è un posto straordinario, con il Museo Lapidario Maffeiano, il più antico museo lapidario d’Europa; con il Museo archeologico del Teatro Romano. E poi al Duomo di Vicenza, sotto il quale ci sono i residui di ben cinque chiese, una domus romana, con ancora dei mosaici. Vi è traccia dell’invasione dei Goti, ben 50 centimetri di carbone. Da sopra questo strato sono rinate le nuove chiese, fino ad arrivare al Duomo, che poi è stato bombardato durante la guerra. Ho visto le foto dall’alto, il bombardamento aveva tranciato completamente il duomo. Negli anni Cinquanta si sono messi a ricostruirlo. E il lavoro di scavo ha preso inizio proprio da quell’operazione, perché hanno trovato ossa, pezzi marmorei, sia pure con i metodi un po’ grossolani che si usavano allora: bisognava pensare a ricostruire la città e non tanto all’arte.

– La domanda che mi riecheggia in testa, a sentirti parlare con questa competenza e passione, è questa: un mondo di cui eri evidentemente innamorato, perché l’hai mollato?

Mi guarda come se dovesse vincere una resistenza. Poi si decide:

– Perché non c’era più modo di continuare a lavorare per certi imprenditori.

– Spiegamelo meglio

– Te lo spiego con una frase che mi ha detto il mio capo: Alberto, a me che il lavoro venga bene o venga male non me ne frega un cazzo, basta che alla fine del mese ci diano i soldi! Capisci?  Viene a mancare la qualità, viene a mancare anche la tua gratificazione. Quando sei capo cantiere vuoi avere a che fare con delle persone che devono avere passione per quello che fanno. Non avere gente che prende questo e lo butta di qui, quell’altro lo butta di là. Ci vuole ordine e un certo criterio.

Poi, sai, le buste paga che arrivano dopo tre, quattro mesi. E devi quasi andare a elemosinare il tuo stipendio e quando sei in trasferta, devi anticipare le spese per fare pranzo e cena, l’alloggio no perché era affittato in anticipo dalla Ditta… comunque quando andavi a chiedere il tuo compenso sembrava non fosse qualcosa di dovuto…

E poi voglio dire questo, che vale per tutti i restauratori. Purtroppo ora si lavora solo con questi COCOCO, questi contratti per collaborazione continuata, che sono solo delle bufale fatte dallo Stato che consentono di sfruttare il tuo lavoro e pagarti poco. Hai quei 200 euro in più in busta paga, ma non hai più le ferie, le assicurazioni e quando all’imprenditore gli gira che tu sei scomodo soltanto per una sorta di antipatia, con una botta ti dicono ciao!

– Era l’organizzazione…

– Sì, era l’organizzazione che faceva pena. A pensare che con tutto il bene di Dio che ci hanno lasciato i nostri antenati… noi abbiamo l’ottanta per cento dei beni culturali dell’umanità… potremmo fare solo quello! Poi vedendo anche quanto gli stranieri apprezzino i nostri beni culturali… Quando lavoravo a Sirmione, per fare un esempio, è sempre una critica, ma ormai non mi rimane altro da fare… A Sirmione ci sono i resti di una villa romana in cima al promontorio, una villa romana di epoca imperiale, forse datata 150 dopo Cristo, detta Grotte di Catullo, due ettari e mezzo di villa, di muretti a secco, tutto un rudere naturalmente. Però vengono scolaresche da tutta Europa, dal Giappone, anche gli italiani. Tutte le scolaresche straniere, tedesche, inglesi, danesi, austriache, tutti ordinati che seguono la guida… gli italiani, purtroppo, ma dal milanese al napoletano, non voglio fare distinzioni, uno che scappa da una parte, uno dall’altra, nessuna disciplina, nessun ordine…

L’Italia che è stata la patria dell’arte, chissà perché ora siamo così poco rispettosi e sensibili? Me lo chiedo tuttora. C’è una forma di inciviltà e di non apprezzamento per cose che dovremmo capire, studiare, guardare ed ammirare. Invece ce ne freghiamo. E gli stranieri ce le invidiano, vengono a casa nostra perché non ce l’hanno a casa loro.

– Ho sentito D’Avico in una trasmissione, è incazzatissimo per questo.

– Anche Sgarbi. L’ho conosciuto di persona Vittorio Sgarbi, ci ha fatto i complimenti per… noi allestivamo il Palazzo della Gran Guardia a Verona, per la mostra del Mantegna e avevamo fatto la copia di un pilastro romano che c’è nel Museo Archeologico Maffeiano, e che compare in uno dei disegni del Mantegna. Noi avevamo fatto la copia e la copia era stata esposta al Teatro della Gran Guardia. Per caso passa il signor Sgarbi, si è avvicinato a esaminarlo e dice: ma caspita, è una copia? Bravissimi!

– Quando è avvenuta questa decisione di venire qui?

– Sinceramente ci ho sempre un po’ pensato, anche se sono fermo qui da un paio d’anni. Questa casa qua, l’ho comprata, non era dei miei antenati. C’erano buchi nel tetto, entrava l’acqua… E qui dentro era diventato tutto un bosco. C’erano i rovi attaccati al balcone. Insomma, per un restauratore ce n’era di lavoro… Piano piano me la sono messa a posto. Quando si lavorava per tre o quattro mesi e poi c’era una lunga pausa, venivo qui a sistemare le cose. Ogni volta che sono stato qui, e adesso è una cosa permanente, c’era il piacere della natura. Mi affacciavo e vedevo giù caprioli, la volpe, le aquile che giravano, è un mondo d’incanto, la natura qui, seppure, come diceva qualcuno, che la natura in montagna è sempre avara e ostile con l’uomo. Ed è vero, tu Marco che cammini sai benissimo come uno sbaglio può veramente costare caro. Lo stesso per l’orto, pianti i pomodori e ancora non sono maturi. Ormai sono due anni che sono qui sempre, a parte quei due o tre giorni che torno a trovare la mia mamma.

– Hai maturato una visione diversa delle cose?

– In effetti, la visione del mondo, della vita, di quel che conta, cambia profondamente se vivi in città o se vivi qui. Quello che conta giù qua non conta niente! Qui è molto più importante avere un orto che ti produce che non la macchina bella. Come il traffico cittadino, ora non so più cosa sia, ma lo vedo come uno dei più grossi orrori che l’uomo abbia inventato. Io mi mettevo in macchina e più che essere incazzato nero non facevo. Adesso è una pace. Mi alzo al mattino e c’è il gallo che canta, di notte vedo i ghiri che corrono. Saranno piccole cose, ma sono cose che contano. Quando la notte vedi la bella luna che c’è qua, beh a Olgiate non c’è il cielo che c’è qua. Il 10 agosto, che c’erano le stelle, sono venuti dei miei amici a guardare e ci siamo sdraiati nel campo. Uno spettacolo! Domani c’è luna piena e la osserverò. Mi sono messo a guardare Marte che transitava nella costellazione del Toro.

Ultimamente leggo poco. Ogni tanto leggo qualche libro sui funghi e sugli arbusti perché… io sono completamente ignorante. Arianna, tua cugina, mi ha portato qualche libricino sulle erbe, medicinali.

– Trovo interessante quando mi spiegano una pianta, officinale o anche semplicemente commestibile, mi dicono il nome, le proprietà.

– Sì, sono conoscenze che abbiamo perso. I nostri nonni e bisnonni conoscevano tutto, sapevano quando piantare e quando togliere. Beh e poi c’erano tante forme di guarigione che vengono considerate superstiziose…

Marco: Beh, a Sparone c’è una donna ancora oggi che guarisce le verruche “con la sola imposizione delle mani”.

– Insomma è una scelta definitiva?

– Bisogna vedere tante cose. Il problema è il lavoro. Da un anno e mezzo non ho più avuto niente. L’ultimo lavoro che ho fatto è stato al castello di Tortolo, a Mede, Pavia, vi ho lavorato un’estate. Ora campo dei miei risparmi e di qualche lavoretto quando qualcuno mi chiama per verniciare la ringhiera. Un signore in Val Soana mi aveva chiamato per verniciare le porte, fare un po’ di restauro. Ma sono lavoretti da poco. E le spese ci sono anche se riduci i tuoi bisogni. Se ci penso con pensiero critico, beh la situazione è veramente drammatica. Se mi fossi trovato di fronte a una cosa del genere quando ero ad Olona, non sarei riuscito a dormire la notte. Qui reagisco in maniera diversa. Dico: va bene, ci sono anche tanti lavori da fare per sistemare la casa, a cominciare dal bagno, rivedere l’impianto elettrico, va bene, dico, quando avrò i soldi li farò. Insomma invece di angosciarmi, sai la speranza è l’ultima a morire, mantengo la fiducia nel mio avvenire. Poi è chiaro, con la situazione che ci troviamo ora. Nelle città c’è gente che sta morendo di fame, non sto parlando degli extra comunitari, ci sono italiani che vanno a dormire in macchina, si lavano alla fontana. Fino a ieri hanno pagato il mutuo ora non ce la fanno più, la banca si è presa tutto e questi, magari con figli, dormono in macchina. Grazie a Dio mi sono liberato dai debiti con le banche e non voglio più avere a che fare con loro, farisei schifosi.

– Come ti sei organizzato?

– Innanzitutto scorte di legna, andare su, tagliare legna, portare i carichi giù, riempire la legnaia. L’inverno è molto morto qua. Per mangiare, una spesa grossa, ogni tanto, giù a Cuorgné. Qui i prezzi sono abbastanza alti, per una spesa generale vado a Cuorgné, all’Eurospin trovi frutta e verdura 0.99 centesimi al chilo, poi non sono un gran mangione. A me piacciono tanto le sbobe di verdura e cereali. Raccolgo molto tarassaco: con un po’ d’aglio ne viene una frittata con i fiocchi. Ho alcune galline, sono ovaiole, ma sono ancora giovani. Si chiamano Tea, Lea, Zoe, le ha portate un mio amico archeologo. Ho un frigo e un piccolo freezer con qualche problema. Lo sto controllando. L’ho sbrinato l’altro giorno. Di carne ne mangio poca, ma domani arriveranno amici per la grigliata, avanziamo sempre tanto e io lo conservo. Molto tempo l’ho passato a sistemare la casa dall’interno. Vedi, ho il cammino, la stufa, due anni fa ha fatto meno ventotto gradi per tre settimane, ho fatto fuori tanta di quella legna, devo recuperare. Il lavoro mi occupava comunque molto. Alle cinque e mezzo arriva il buio, mangi prima, vai a letto prima.

– Tanta gente volta la schiena alla città per ritornare alla terra.

– Sì, e fortunati quelli che lo possono fare avendo un po’ di capitale sotto il sedere. Per altri è più difficile. Ma vedi questa fede che porto al dito? Ho voluto incidergli dentro una frase che Virgilio scrive nella X Ecloga delle Bucoliche: Omnia vicit amor! L’amore vince tutto.

Si guarda intorno e indica le cose che nomina: – Le travi sono originali, le assi, la cappa del camino, l’intonaco li ho fatti io. Mi sono portato tutto a spalle, il pavimento, fatto nel fienile, la stufa, devo imparare a fare il carbone. Il cammino lo faccio andare quando c’è la neve, il cammino mi aiuta  per la notte. Mentre brucia il grosso ceppo io vado a dormire. Al mattino smuovo la cenere trovo la brace che riparte a ventilarla. Però rende un quindici per cento di quello che bruci, tutto il calore se ne va su, se ne va via.

– La storia del capriolo?

– Ho incontrato questo cucciolo di capriolo che era da solo. La madre penso che l’hanno uccisa i bracconieri. Io la vedevo qui, era agilissima, aveva una figlia femmina dell’anno precedente. Vedevo che scappava dalla figlia perché doveva partorire e sapeva che la femmina dell’anno prima le avrebbe succhiato il latte destinato al cucciolo. Devono averla uccisa i cacciatori. Qui salgono i cacciatori nella stagione di caccia, a me dispiace, non voglio dire di loro, ma non sono graditi, mi hanno sparato dietro una volta mentre facevo la legna, la rosa dei pallini è passata un metro sopra la testa. Gli ho urlato dietro e non si son fatti vedere… Per me sparano a tutto quello che si muove. Sparare al cucciolo di capriolo non si può. Come anche ammazzare un agnello. Sono cose pazzesche, figlie del consumismo. Una volta si poteva uccidere un agnello o perché era malato o perché c’era la transumanza e il capretto o l’agnello non camminava. Finché spari al cinghiale può essere giustificato, i cinghiali sono prolifici all’infinito, mentre il capriolo ne fa uno al massimo due all’anno, un po’ come la mucca.

Insomma, me lo sono preso, Titino, e me lo sono allevato. L’ho nutrito col biberon finché non è diventato adulto. E viene ancora a trovarmi, qui, quasi ogni giorno. Quest’esperienza mi ha fatto sentire qualcosa. Ha fatto emergere un legame profondo. (Pausa) Pensa che la mia ex ragazza, quando viene a trovarmi, mi rimprovera di aver voluto più bene a Titino che a lei. Lei ha comprato casa sul lago Maggiore e si aspettava che mi trasferissi lì…

Ci spostiamo sul balcone che dà sull’orto. Su un ceppo ci sono i funghi che ha raccolto. Li mette a seccare. Ci scambiamo ancora qualche parola e poi Marco ed io riprendiamo al via del ritorno. È stato un incontro a sorpresa. La storia romana e la storia archeologica evocata in un contesto così rustico è sorprendente. Ma potrebbe essere anche un’indicazione. Gli autori classici, Virgilio per esempio, non erano avvezzi, prima di arrivare ai poemi epici, a passare attraverso le Bucoliche e le Georgiche? La modernità ha allontanato troppo dalla natura. Stiamo ricercando le nostre radici. Forse stiamo anche dicendo che la modernità è finita da un pezzo!

Categorie: Eugenio Guarini