La Teoria del Residuo

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Il quadro: La cresta del gallo, acrilico su tela, cm 100 x 100


La teoria del Residuo.


Beh, se ne parlava molto. La gente se lo chiedeva e, ovviamente, quando ci si ritrovava a cena con gli amici, la conversazione girava su questo tema. Perché la faccenda riguardava sia il lavoro che la vita privata, voglio dire la vita di coppia, il matrimonio, la famiglia e tutto quello che ribolliva in quella pentola.
Nel lavoro le cose venivano a galla in maniera più distaccata, ma pur sempre pressante. Insomma, nel lavoro c’era sempre la possibilità di dare la colpa al capo, all’amministratore delegato, o a quegli stronzi dei tuoi colleghi.


In un certo senso, anche in casa questa possibilità esisteva. Il coniuge, insomma, se non fosse così, o se solo potesse cambiare, ma non c’è nulla da fare – battendo le nocche delle dita sul tavolo – è timido!


In casa però il dubbio veniva, se non altro perché passavi un po’ di tempo chiuso nel cesso, o restavi alcuni minuti coricato, a luci spente, nel tuo letto, dal tuo lato, prima di addormentarti…. E se fosse da qualche altra parte? Se il punto leva, il fulcro del problema stesse altrove? Insomma, un altrove dove la responsabilità ricadesse tutta su di me, e basta? Senza alibi?


Dopo tanto parlarne non era più nemmeno molto facile dare una definizione precisa al problema. Si ricordava che la cosa riguardava la vitalità. La voglia di vivere, la gioia di vivere, ma anche il sentirsi utile, avere un significato, avere una certa importanza per qualcuno…, cose così, e si sparavano termini audaci, come creatività, routine, destrutturazione, ristrutturazione, ricomporre, costruire, domande di base, etc…


Sembrava di parlare di qualcosa, ma poi, man mano che il discorso procedeva, la cosa diventava sempre di più un non so che, un quasi niente, che tuttavia conservava il suo potenziale indiscutibile…


Cos’era in gioco?
Di cosa stavamo parlando?
Cos’è che uno cercava quando decideva di troncare una lunga relazione, ormai priva di vita?
O quando cambiava lavoro, o decideva di mettersi in proprio?
Non era solo l’eccitazione della passione, o il desiderio di fare fortuna…
C’era qualcos’altro che sfuggiva sempre di mano, quando sembrava di esserci proprio sopra.


Cos’è che accende lo sguardo dei ragazzi quando dicono che fanno un sacco di casino?
E cosa ti accende in quel modo quando racconti di quella volta che…?


La mia amica Sara ha inventato una sorta di teoria. La chiama la Teoria del Residuo.


Lei sostiene che nel nostro desiderio è contenuto molto di più di ciò che riusciamo a definire come l’oggetto del desiderare. Questo di più, che sfugge alla definizione dell’oggetto del desiderio, lei lo chiama Residuo.
Tanto per dire che c’è, ma che puoi anche rassegnarti a non afferrarlo con le parole.


Lei sostiene che quando ci annoiamo di qualcosa che pure abbiamo conquistato con l’eccitazione della passione, è il Residuo che fa capolino. Come se ci dicesse: fuochino, fuochino! Ci sei vicino, ma non era questo. Ed è in questo modo che ci rimette in moto. E ricominciamo daccapo…


Il residuo è dunque l’Oggetto Oscuro del Desiderio. Ciò che cerchiamo quando cerchiamo tutte le altre cose che diciamo di cercare.
E sarebbe proprio per questa differenza tra il residuo e gli oggetti desiderati che quando li raggiungiamo, dopo un po’, tutto si sgonfia. E a volte riusciamo perfino a tormentarci l’animo.


Ma è anche per questa distinzione, che sarà oscura, ma non è del tutto inconsapevole, che avviene una sorta di miracolo. Avviene che, inseguendo un oggetto del desiderio, riusciamo a trovare tante altre cose, e un orizzonte più vasto, che amplia, allarga la stessa portata del desiderare…

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