Quasi alla svolta
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Quasi alla svolta
Come parlare di tutto questo?
È già una meraviglia che le parole saltino in bocca.
Che uno se le ritrovi lì, disponibili, per dare un disegno a quello che sente. Mentre, fino a poco tempo fa, era tutta un’altra faccenda…
Come poter restituire a tutti quelli che mi hanno scritto, anche solo un’ombra della carezza che mi hanno inviato “ai tempi del colera”?
Ma più ancora, come tirar fuori da questa esperienza una qualche lezione, qualche apprendimento, che non sia – però – una tiritera pietosa e dolciastra, ma qualcosa che morde davvero nel succo della vita?
Perché questa malattia è stata un evento per me.
Questo è il fatto.
E ora è come una sorta di disintossicazione.
Così credo, almeno.
Io non so dirti, per esempio: mi è stata mandata questa malattia perché io capissi che…, e via dicendo. Non so dirtelo, perché proprio non mi ci sento in quella parte. Non lo so e come posso dire quello che non so. Al massimo potrei dirti: mi piacerebbe che questa malattia avesse un significato provvidenziale. Ecco quello che al massimo posso dirti.
La verità è che non so niente.
Ma che mi piacerebbe se…
Potrei dirti anche che questa malattia è stata la visita della vecchiaia. Ma mi ci ritrovo solo di sghimbescio in questo discorso. La vecchiaia non è una ragazzina dal ventre piatto e dai seni turgidi. È una compagna con cui vieni a patti, per rispetto e buona educazione. Talvolta, la donna, tra le rughe, s’illumina e ti strizza l’occhio. Come fosse il segno del possesso di una certa arguzia.
Ma che dire?
Posso dire che ho sentito molta vergogna per la presunzione che sono riuscito a incarnare per tanti decenni. Per la superficialità con cui sono saltato sopra affetti, legami, doveri. E anche grosse questioni, interrogativi inquietanti…
Posso dirti che qualcosa dentro di me ha alzato una voce impietosa sul mio operato, mi ha fatto sentire piccolo piccolo, anche coglione, mi ha fatto sentire colpevole.
Non ho pensato che era un tragico tracollo dell’autostima. Mammamia, bisogna che ci dia dentro davanti allo specchio! Non ho pensato cavolate di questo genere. Ho capito che il dito accusatore aveva le sue buone ragioni.
E poi sono andato avanti a testa bassa. Due ore di camminate al giorno.
Alzandomi nel cuore della notte, come se non fosse niente. E cercando di muovere le gambe anche se le ginocchia non sembravano d’accordo.
Può essere che stia per uscire. O può essere che duri ancora a lungo.
Comunque, questa sera capisco che, nel mio piccolo, ho avuto il coraggio di seguire la mia strada. Come a naso inseguendo una sottile traccia olfattiva. Una traccia intrigante, per nulla rassicurante, ma legata al sogno di ciò che chiamiamo grandezza, o integrità, o libertà, o ricerca…
Una scommessa. Dunque.
Durante la malattia ho creduto di averla persa.
Ho perfino accettato di averla persa.
Ma ora…
Categorie: Eugenio Guarini