Appuntamento subacqueo

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Il quadro: Appuntamento subacqueo. Vedi la mia nuova pittura in Galleria.


Appuntamento subacqueo


Ci metto banana, tagliata a rondelle, insieme ai pomodori. E magari due o tre bocconcini di mozzarella. Il vino non lo faccio mancare. Adesso, che è estate, un buon bianco secco e freddo. E pane integrale.
E mentre mangio questa sorta di insalata resto estasiato dalla luce che arriva dal balcone. Sul tavolino, sotto l’ombrellone, accanto al verde della camelia, ci sono tre girasoli.


E io navigo, su questo vascello, nell’Oceano dell’Essere.
E mi sento benedetto, per il fatto di esserci a guardare e trafficare. In questa sorta di avventura che chiamiamo vita.


Cazzo! Non sono malato. Io sto benissimo.
Ho ricevuto in sorte un corpo che sprigiona energia e che ha voglia di danzare la vita. Non riesco nemmeno a immaginare perché tanta gente si senta malata. Che un sacco di gente sia così impegnata a cercare una cura.
Certo, sono limitato nella mia esperienza e nella mia comprensione.
Non mi vergogno di ammetterlo. Immagino che quello che so della vita sia una piccola cosa.


Quanto tempo avrò ancora da vivere?
I segnali del tempo che passa li sento anch’io. Nel corpo. Nelle braccia. Nelle gambe.
Ma che vuol dire? Forse che è ora di rassegnarsi a cosa?
Un cavolo!
Voglio essere vivo quando viene l’ora.
Voglio che tutte le mie energie – quelle che sono a mia disposizione – siano per  gustare la vita. Che è straordinariamente ricca.
E mi piace che ci siano molte più cose in agitazione di quelle che io riesco a digerire.
Questo senso straordinario che la vita è sempre troppo.


Lo so che ci sono sul pianeta problemi immensi. Mi colpiscono maggiormente quelli che riguardano l’alimentazione, la salute, e la pace.
Li vedo anch’io i telegiornali.


Sento – come tanti – il peso della mia impotenza.
E’ facile immaginare, pensare e disegnare con la testa.
Ma la realtà è un’altra faccenda. Ha una sua resistenza. Una sua durezza.
Ti fa sentire che tu sei poco.


Non potendo salvare il mondo con due parole, con uno slancio del cuore e con un gesto delle mani, ho pensato di lavorare all’orticello che mi stava vicino. Lavoro su me stesso. Sfamo me stesso, cerco la salute per me, e diffondo pace nella mia giornata.


Forse, così facendo, sarò un diapason che farà entrare in risonanza altri mondi umani attorno a me. Forse. Chi lo sa?


E dipingo.
Credo che nel modo della mia pittura io dico – senza parole – tutto quello che ho da dire – poco, molto che sia.
Mi piace fare macchie, giocare con il caso e spingere sempre la spatola a realizzare qualcosa di bello.


Fare quadri è quasi una metafora della vita.
E, tra quelli che conosco, quasi tutti vogliono dipingere la loro vita di colori energici, forti, spregiudicati.


Ho fatto gli studi – come tanti – e mi sono appassionato di quello che leggevo e che sentivo.
Ho incominciato a imitare i grandi.
Ma poi, a un certo punto, ho sentito che dovevo vivere la mia vita. E che non mi potevo accontentare di scimmiottare – anche se i modelli erano maestosi.


E ho cominciato a ridefinire le cose. I valori, per esempio.
Quello che vale era una volta ciò che i grandi avevano detto fatto e prescritto.
Ora ho capito che il valore è in rapporto al desiderio. Vale ciò che desidero. E vale di più se lo desidero di più.


E la vita è diventata una sorta di tela su cui volevo dipingere ciò che desideravo.
Ed era questo il mio modo di parlare – col Dio (che non risponde a parole), con me, e con gli altri.


E m’immagino che dipingendo io persuado la vita a diventare come la desidero.
Apro le porte all’impossibile.
E ci spero.

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