Categoria : Eugenio Guarini
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Fuoco
Delle volte mi viene da dare uno scrollone a quella cosa che chiamo la mia crescita spirituale.
Leggo i libri di spiritualità, mi appassiono, il mio spirito poetico si mette a volare, sento il divino da tutte le parti, mi riempio degli slanci del cuore, mi crogiolo in un abbandono mistico e, alla fine… mi “rompo” – proprio in quel senso lì – in maniera fragorosa.
Sento la nausea di tutto questo mio tendere a materializzare i mie sogni e le mie visioni semplicemente … desiderando in maniera mistica, allineando qualche chakra e facendo esercizi di visualizzazione.
Non ho intenzione di offendere la tua ricerca spirituale. Sto parlando di me.
Lascia che mi sfoghi un po’ – e se è un segno della mia imperfezione e dei miei difetti, e se è espressione della mia perversità profonda, che le cose vadano pure come devono andare!
Ci dev’essere – forse – una soglia, oltre la quale la perfezione spirituale mi suscita la nausea. E quando raggiungo questo punto mi prende, per reazione, una voluttà irrefrenabile per le mie contraddizioni, la mia libidine, l’irruenza delle mie passioni. Per la voglia di fisicità, di risultati, di concretezza. Preferirei parlare della “storia delle mie puttane tristi” piuttosto che dell’ascesa lungo la scala della santità da parte dell’anima bella.
Com’è diverso il lavoro nel bosco!
Qui tolgo i rovi, taglio la ramaglia, ci do dentro con la scure con i tronchi più grossi, sposto i grossi ciottoli, per costruire spazi coperti o recinzioni…
Sudo, il corpo s’indolenzisce e poi si riprende, in un minuto di pausa. Bevo a grandi sorsate. Interrompo per una sigaretta. E poi riprendo, fino al momento in cui ho raggiunto il risultato.
Qui, il lavoro, giorno dopo giorno, ha creato un ambiente. La bellezza è stato il criterio guida. L’architettura boschiva segue pendenze e circonvoluzioni che l’occhio ha intravisto come potenziale già nel bosco selvaggio. Quel disegno è venuto alla luce con un lavoro di braccia, di gambe, di corpo, sotto la guida dell’occhio.
Un’ultima sigaretta, per contemplare qualche minuto la bellezza del luogo costruito. E lo sguardo si riempie di grata soddisfazione, che quasi non riesce a contenere. Ripongo gli attrezzi e mi avvio per casa.
Nel lavoro del bosco il dio che mi sostenta è l’aria che respiro, il sole sulla schiena, il corpo che rigenera le sue energie e, come oggi, la carne alla brace, la bottiglia di vino, il pane, le patate che ho messo a cuocere nel cartoccio in mezzo alla brace. Il tutto trangugiato rapidamente, famelicamente. Fino a sentirmi satollo.
Qui, nel bosco, la pulsione sessuale e l’amore coincidono perfettamente. Senza cavilli. E l’irruenza è pienezza di vita appassionata.
I pensieri sono parole, non frasi o discorsi. Parole scolpite nella carne o pronunciate tra le fronde.
Lo spazio del bosco è spazio d’avventura, di conquista. Non soggiorno di sospiri.
La contemplazione della bellezza è fatta di istanti fuggevoli, tra un lavoro e l’altro. È una contemplazione a colpo d’occhio.
Dio, Il fascino del bosco!
Che tirarne fuori da queste considerazioni?
Forse che anche la spiritualità ha in sé un’ambiguità da smascherare. La via dell’angelismo è alienazione. La via della magia del desiderio, quando non passa attraverso il corpo e l’azione e il fare, il costruire, il traffico con le cose del mondo, è perdita delle proporzioni, perdita del contatto.
Preferisco pensare, piuttosto, che gli angeli siano invidiosi delle nostre passioni, delle nostre fatiche e perfino dei nostri dolori.
Che il desiderio sia fuoco che brucia direttamente il mio corpo!
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