Beh, si potrebbe anche…
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il quadro: Uno sguardo nuovo
Beh, si potrebbe anche …
La mia casa è un lago tranquillo. Lo scrivo nei miei appunti. E seguito a segnare col pennarello il distendersi dell’animo lungo lo spazio che occupo. L’abbandono è per me, qui, ora, qualcosa come allargarsi e distendersi, colare nel contenitore del tempo, senza pensieri.
Vedi quello che succede, quando scrivi?
Capisco che si parli di terapia della scrittura.
Lo capisco benissimo perché la scrittura lascia emergere la tua voce fino ad uscire allo scoperto, a collocarsi nella grande canzone dell’universo.
Ma non mi piace che questo concetto della terapia, che oggi ti ritrovi dappertutto, sia troppo insistito e si fagociti la scrittura stessa – e tutto il resto.
Che siamo tutti e sempre malati? E cos’è questa smania di definirsi in permanenza bisognosi di guarigione?
Pensare che ancora dobbiamo guarire è prendere tempo. È rimandare.
Voglio pensare che sono già guarito. Che sto bene abbastanza per vivere, che – se anche ho un po’ di pesantezza dopo mangiato e bevuto – ho abbastanza energia per fare e per creare, per alimentare la vita attorno a me.
Fino a che punto siamo diventati ipocondriaci? Questa vecchia mania a provare piacere nel sentirsi inadeguati. Non stiamo abbastanza bene per fare casini in questo minestrone della vita?
Che nostalgia improvvisa di quando da ragazzini si entrava nelle cantine della scuola, dove erano stipati i carretti per la neve, nel buio eccitante di locali polverosi, per sperimentare l’ebbrezza succulenta dei baci delle nostre compagne ed esplorare con mani audaci nelle loro mutandine!
Vieni, colomba, questa sera, con le tue scarpette che suonano la tromba delle scale. Entra nell’abbraccio della mia casa. Aprirò la finestra e ti farò l’amore accarezzato dal vento delle stelle. Assaporerò i tuoi seni come pesche di vigna e le mie mani navigheranno sulle onde dell’oceano di dolcezza che tu sei. Cercherò le favole in mezzo ai tuoi capelli e respirerò la tua anima nel tuo respiro.
Le mie reni sono sature di libidine di vita e le mani anelano a sollevare ogni velo. Tu sei la vita succulenta. E, benché ebbro, stordito e confuso dal nettare che trasuda la tua pelle, io sono io, pienamente consapevole, pieno, tondo, intenso e sano. E tu sei tu, lunare e luminosa.
È bello essere saggi nella sera della vita, ma durante il giorno e al mattino è la stoltezza giovanile che premia.
Che gli occhi siano accesi dalla meraviglia. E che le mani tentino gesti non ancora fatti.
Io sono ancora un ragazzo che vuole far fortuna e conoscere il mondo e lasciare dietro di sé, nella scia della sua barca, segnali intriganti.
È l’avventura che amo. E per questo esco dai porti che ho amato ed emigro in paesi sconosciuti, come il viandante, come il pellegrino.
Il mio dono è qui, al sicuro. Non lo devo nascondere per proteggerlo. È un dono a me, fin dall’inizio. Ne vivo e lo rispetto. È il dono che le mie mani spargono attorno, mentre mi muovo.
Insomma, la vita è molto più divertente di una continua terapia.
Categorie: Eugenio Guarini