Fuochi d’artificio

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Fuochi d’artificio.


E poi succede.


È improvviso e anche folle. Tu ti senti – come dire? – perfettamente identico a te stesso. Sai che ci sei e che sei. Il flusso delle energie vitali non è più qualcosa che osservi, ma qualcosa che sei. Non sei più un osservatore – di te stesso, della situazione, dell’atteggiamento degli altri, della società, della cultura… Tu sei tutto questo. Ci sei dentro in una maniera che solo alcune ore prima non avresti mai neppure sospettato.


Le parole ti scivolano dentro come un ruscello di montagna – la chiamano verve – e i gesti ti escono da soli in perfetta armonia – è la danza della vita – e non ci sono problemi o difficoltà, ma schiene di cavallo su cui galoppi. Il vento ti solleva i capelli e la nave scorre sulla superficie dell’oceano.


Di questa esperienza non ti scorderai mai più. Anche se ritornerai a livelli più bassi. Ti resterà sempre impressa nella mente la misura esatta di quel che significa essere vivi.


È esattamente come quando ti sei innamorato la prima volta e lei ti ha detto: anch’io. E la colonna sonora della vita è comparsa improvvisamente, a tutto volume. E tu danzavi sui tetti come nel film.
E niente aveva peso, e bastava respirare un desiderio per sollevarsi in aria, e bastava muovere le mani per creare miracoli, e non c’era domani, né ieri, e nemmeno oggi, ma tutto il tempo era lì e non c’era più.
Fuori da tutto, e dentro l’unica cosa che esiste. La vita.


È in questa situazione – che alcuni chiamano stato di flusso – che nascono le poesie, i quadri e la musica, ma anche le teorie scientifiche, le intuizioni matematiche…. È uno stato sorgivo. Non c’è bisogno di spiegare, e a nessuno verrebbe in mente di fare domande.


Per cercare spiegazioni e per parlarne bisogna raffreddarsi. Scendere a terra. Far leva sui ricordi. Ed è tutta un’altra storia. E non si è più nemmeno sicuri di dire le cose correttamente.


Ed è un po’ quello che cerco di fare in questo momento. Raffreddarmi e parlarne. Perché anche questo fa parte della vita dell’uomo, della storia della sua consapevolezza.


Io non sono di quelli che condannano la ragione per osannare l’ispirazione, il mito, la fantasia, l’immaginazione. Per me la ragione è un gran dono ed è destinato ad andare d’accordo, a creare sinergia, con la follia dell’immaginazione.
Non mi piacciono le visioni manichee che separano nettamente e contrappongono: che mettono in guerra le polarità fra loro, e gli uomini anche.


Una ragione separata dal sogno e un sogno separato dalla ragione, ecco il tormento e l’inferno. Ma insieme è la vita. Il sonno della ragione genera mostri, ma anche imprigionare il mito.


È bene che la ragione porti chiarezza là dove c’era il mito.
La fede è la forza potente che porta avanti la vita, ma è bene che la fede conservi in se stessa la consapevolezza dell’ignoranza, e del fatto che il discorso che la riguarda è tutto una bella congettura.


È importante che la fede incorpori la ragione. Questo restituisce alla vita il senso dell’avventura. Congetture e confutazioni – diceva Popper, parlando del modo di procedere della scienza. E questo resta vero per la fede.


Gli dei che garantiscono l’infallibilità sono pericolosi. Lo sono stati nella storia e lo rimangono.


Felice chi conosce lo stato d’ispirazione. Ma più felice ancora se non ne resta prigioniero, se non vi rimane smarrito.
Perché la nostra vita si svolge qui, sulla terra, nei nostri condomini, nel mercato, trafficando con istituzioni e barriere, con la puzza delle fogne e la pesantezza dei sassi. Con gli stipendi, le malattie, le paure, la fame, il freddo, le piogge, le alluvioni, le immigrazioni, la concorrenza, la globalizzazione, i giornali e le televisioni.
E nell’intrico assai complesso del mondo umano, è bene che la gloria dell’ispirazione si coniughi con il lavoro operoso e modesto della traspirazione, del ragionamento, della sperimentazione, della prova e dell’errore, dei conti e delle pianificazioni.


Felice chi conosce la follia dell’innamoramento. E ancor più felice chi sa ritornare a masticare la prosa della ragione senza perderne l’incanto.


Il quadro si chiama “Madeleine ancora”. Una tela di 90 x 130 di dimensione.


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