Prima Vera

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Prima Vera


Un nome curioso. Insolito. Chissà cosa avevano in mente i suoi genitori? Ma se lo meritava tutto. L’ho incontrata all’aperto, lungo il fiume. Prendeva il sole, da sola. A volte, basta il primo sguardo e si capisce che si può parlare. Parlare davvero. E l’abbiamo fatto. Alla fine si è messa in posa per il ritratto. Prima Vera.


Sul lavoro la chiamano Vera. Dice che sa il fatto suo, ma in azienda nessun orecchio è pronto ad ascoltare quel che ha da dire. La sua azienda è un posto dove lei non ha spazi per esprimersi e per dare. Solo giochi di potere, dietro le quinte, e un clima da catastrofe imminente. C’è andata, come tanti, alla ricerca di un posto, di uno stipendio. Nella fase della vita in cui non sai se puoi aspirare a un posto fisso, non hai ancora la forza di mettere su qualcosa in proprio, e non osi pensare che hai una tua vocazione da seguire e valorizzare. Puoi solo imparare a resistere.


Vera legge molto e scrive anche bene. Ha una grande capacità di entrare in relazione, di coltivare relazioni, sa comunicare. Ma tutte queste capacità a che le servono? Devi pure renderti indipendente, cioè riuscire a mantenerti. E aspiri per di più ad avere una vita personale. Le hanno offerto di fare da segretaria fiduciaria, lo specchio di un’altra persona, l’immagine stessa della dedizione a qualcuno, a qualcosa, a un altro. Ma dicono che è troppo ambiziosa.
È vero. Ambisce. Lei si vede nel mondo come qualcuno che dà in maniera eccellente qualcosa di suo. Non si vede affatto come la donna dedita totalmente a un’impresa e a un capo.
Ma che fare? Là fuori sembra tutto sempre più difficile.


Abbiamo parlato anche d’amore.
Lei dice che oggi non c’è più molto spazio per sognare l’amore. La gente non ha tempo per imparare ad amare. La cosa non viene da sé. C’è molto sesso, dentro il quale c’è molta disperazione, cinismo, mortificazione. Ma l’amore non si trova facilmente. Forse ne esistono solo poche sottospecie. L’amore è un sogno scaduto. Siamo fuori tempo.


Dice che le coppie come suo padre e sua madre non esistono più e non possono neanche rappresentare un modello allettante. Sono identificate con la castrazione, con la noia, con la formalità.


Secondo Vera, in questa situazione, la salute esige che si vada a monte. Si riscopra l’amore per la vita, s’impari la bellezza della propria avventura, si riesca a vivere da sola, ritrovando l’ecologia della mente. Dopo, quando ci saranno più uomini e donne che si sono ricongiunti con la sana energia vitale, potranno nascere nuovi rapporti, capaci di andare oltre l’eccitazione e l’emozione. E trasformare un sentimento in un’impresa vitale e feconda.


Vera dice che sembrano prevalere segnali di decadenza.Il che non le lascia presagire niente di buono.
Le ragazze sue coetanee – dice – ritornano a fare le smorfiosette, che aspirano a diventare veline, e si trasformano nuovamente in donne oggetto, portatrici di oggetti, monili, chicchere, cianfrusaglie. Spingendo nella cantina del cuore la loro disperazione.


Degli uomini, invece di parlare scuote la testa. Lasciando intendere che sono molto lontani dall’essere all’altezza. Quelli devono ancora fare la loro rivoluzione. Stentano. Sanno occuparsi con impegno solo di lavoro. Identificano il loro ruolo virile col leader, col manager.
Di amore non vogliono neanche sentire parlare. Sono pronti alle feste e alle orge.
Ti considerano un oggetto d’intrattenimento, di divertimento, almeno per una sera. Le cose serie le affrontano con il loro socio in affari.


Vera è una giovane donna molto bella. Ecco cosa dice della bellezza:


– Oggi, molte mie coetanee sono come la frutta e la verdura nei nostri supermercati: belle fuori, ma se le assaggi, poca sostanza e niente sapore.


Mi dice che sta imparando a vivere da sola, a sviluppare i suoi talenti, a progettare il suo itinerario di ricerca e realizzazione. A irrobustirsi nell’affrontare le sfide. A muoversi nell’incertezza. A coltivare la fiducia e l’integrità.


L’ho incontrata lungo il fiume. Prendeva il sole. Abbiamo parlato.


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Il quadro di oggi: Prima Vera (acrilico su tela cm 100 x 100).


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Eugenio Guarini
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