Cyberspazio

Guarini Newslettr


Cyberspazio


Eravamo diventati preda di una sorta di cyberpazio, con la mente confusa.


In definitiva, la televisione, il cinema, ma già prima i nostri romanzi, drammi teatrali ed altro, e poi il computer…, erano stati solo delle tappe verso questo esito irresistibile.


Forse eravamo solo terribilmente impreparati ad affrontare così rapidamente un’evoluzione che nel profondo del cuore stavamo cercando. La nostra immaginazione, man mano che si liberavano spazi di impiego, aveva da sempre desiderato – e immaginato – molto di più di ciò che la realtà fisica – quella fatta di atomi e di lavoro hard e di bollette da pagare e pietanze da cucinare, quella fatta di bambini con la cacca da pulire, di biberon e di pannolini, quella dei nostri cicli mestruali, quella delle istituzioni della famiglia, e delle leggi che regolavano i comportamenti fisici… -molto, ma molto di più di ciò che questa realtà materiale sembrava consentirci.


E così ci trovammo a vivere nel corso di una vita, molte vite. Molti lavori, molti matrimoni, molte relazioni, e infine, molte esistenze immaginarie, eccitanti e coinvolgenti. Magari dalla durata di poche ore, o pochi giorni, in relazione ai nostri orologi fisici.


La vita si arricchiva, il tempo si dilatava, era così. Nessun dubbio. Ma avevamo bisogno di sempre più tempo di solitudine, tempo da dedicare a noi stessi, per poter immaginare e sentire e ascoltare, senza essere disturbati dalle interferenze di quella realtà fisica, fatta di persone con i loro bioritmi e le loro esigenze, i loro sudori e le richieste di aiuto di sostegno di soccorso… Tanta solitudine…


Ci fu un periodo in cui ci risultò difficile distinguere ciò che era immaginario da ciò che era reale. Tanto difficile e confuso che decidemmo di considerare tutto reale. Senza alcuna distinzione. E fu così che venne a crearsi questa sorta di cyberspazio, in cui tutto era possibile e nulla era chiaramente reale, voglio dire: distinguibile da una semplice immaginazione o fantasticheria.


C’erano – è vero – molti di noi (e dicevano che fuori del nostro mondo privilegiato si trattasse di miliardi di persone) – c’erano molti di noi che non guadagnavano abbastanza da consentirsi tutto questo tempo di immaginazione.


Era gente che a un certo punto ci sembrava perfino più reale di noi, proprio perché i loro conti andavano in rosso e le banche telefonavano a casa, e per spostarsi dovevano prendere i mezzi pubblici, e dovevano fare i conti con la padrona di casa, e cose del genere.


Confesso che a volte li invidiavo. Le loro necessità materiali li tenevano ancorati a quella realtà fisica che a noi sfuggiva sempre di più.


Consci del pericolo, o spaventati per l’andamento delle cose, diversi si misero a praticare arti marziali di tipo orientale. Era un modo per riuscire a tenere ancorato il corpo alla vita spirituale che si sviluppava caoticamente nelle nostre anime. E fecero bene. Perché riuscirono a riscoprire la comunicazione con persone in carne ed ossa e qualcuno di loro riscoprì la compassione e seppe dare un senso al tenere tra le braccia un bambino, carezzare i capelli di una donna e tenere la mano a un malato all’ospedale.


Nacquero delle sette religiose di tipo nuovo che attraverso rituali insoliti ci conducevano a riscoprire che anche nel cyberspazio c’erano delle scelte etiche da fare, e bisogna assumersi la responsabilità di ritrovare il cuore e la bellezza, la bontà la verità.


E talvolta era nel sonno che riuscivamo a mettere a fuoco la situazione e a capire quello che c’era da fare.


E quando trovavamo in noi la forza morale di prendere posizione, di deciderci per un valore che fosse tale, allora il criterio di realtà ritornava ad essere chiaro e così il senso della dignità e lo spessore umano della vita.


Sì, talvolta era nel sonno…


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Il quadro: E talvolta era nel sonno

Eugenio Guarini
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