A volte, distendersi

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A volte, distendersi…


Se Dio non è qui, adesso, non è da nessuna parte.
Una volta ho sentito questa parola. Forse dal Tao. O dallo Zen. Mi ha fatto pensare. Tanto. Non so se dipende da quell’inizio, ma oggi, ogni evento che arriva è per me la cosa più preziosa e perfetta che possa immaginare. Mi ci applico con una presenza sempre maggiore. Sento che amo quello che accade di un amore intenso e mi ci metto completamente.


Non è che non abbia un progetto, o un sogno, o desideri. Al contrario. Io vivo dei miei sogni, dei miei desideri. Li considero la mia realtà decisiva, la mia verità. Li considero come già reali. Mi comporto, infatti, come se fossero già qui. Ed è così che accolgo tutto quello che capita. In esso c’è il mio sogno che si realizza. E io vi lavoro come un contadino, sempre più solerte. Sto coltivando l’orto in cui nascono i miei sogni.


Però, faccio una cosa alla volta. Non tutto insieme. E dopo ogni cosa, mi prendo un silenzio, una pausa. Mi distendo. So che questa pausa tra le note, fa parte della sinfonia. La condiziona. È come la digestione del tempo.
So che la mia presenza all’evento dipende da quella pausa. Da quel silenzio tra le note. Come potrei essere presente, senza quello spazio in cui digerisco, in cui mi ricostruisco?


So che la sensazione di essere trascinati dalla corrente, stressati, senza la possibilità di capire che cosa e come, dipende dalla fretta. La fretta di fare cose, una dietro l’altra, senza pause, senza silenzi.


Quando faccio le mie conferenze all’Unitre, tra una frase e l’altra, sto zitto. E in quel silenzio dell’inspirazione, viene a galla quello che dirò nella frase successiva. Quel silenzio è come aprire la porta, affinché possa entrare il senso.


Tu dici che nella tua azienda ti fanno pressione? Dici che non c’è tempo da perdere tra una cosa e l’altra? Pensa quanto si perde non lasciando alla vita il tempo di entrare nelle cose che fai. La tua organizzazione del lavoro è stata disegnata da Taylor, che acchiappava il tempo con il cronometro, riempiendolo tutto di pieni. Non aveva intuito la fecondità del vuoto.


Tu vuoi vedere un film dietro l’altro, andare alle mostre, alle cene, agli eventi mondani, senza perdere un colpo? E quando digerirai tutte queste cose? Quando avranno tempo di entrare a fondo dentro di te?


Trova il tuo ritmo. Né lento, né frettoloso. E colloca tra una cosa e l’altra il silenzio, la distensione.
Rivendica dai tuoi padroni il tempo della pausa, il ritmo della tua musica, gli spazi tra le note.
Se ci riuscirai, ogni evento sarà Dio stesso, e nulla sarà più amabile, nutriente, perfetto, di quello che ti sta accadendo. Il tuo orto da coltivare, l’orto dove stanno nascendo i tuoi sogni.


Molti mi scrivono dei loro “salti quantici”. In tutti, il primo momento è il più drammatico e sconvolgente. E’ il momento in cui si lascia il vecchio, o lo si lascia andare. Poi si ha coraggio, ci si avventura e … l’apertura si produce!


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Eugenio Guarini
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