Il vento soffia dove vuole

La colonna sonora questa mattina è Jazz di Brian Parker, avvolgente e suadente. Fuori c’è tanto sole. Tanto. Sto cercando idee che chiariscano la strada. Idee nuove che non ho mai pensato. Idee magiche da cui trarre azioni pratiche, eventi e risultati. Sto cercando idee che aprano il cammino verso dove devo andare. A ruota libera. Perché è come incontrare. Tu vai, cammini, e loro ti vengono incontro. E le devi riconoscere. Come la donna che amerò. E che immagino già in cammino, verso di me.


Il brano musicale fa venire in mente New Orleans, l’america nera, del jazz e dello swing. Quella musica lenta suadente intellettuale e romantica. Che evoca la pienezza nella vita quotidiana. Che fa compagnia ad uomini soli, che frugano tra i propri pensieri e conversano con le loro preoccupazioni, sorridendo lo stesso alla vita e rendendosi conto del mistero che avvolge ogni cosa. Tutto: le faccende, il lavoro, gli affitti e le bollette, il costo della vita, i figli e i parenti con i mille soliti acciacchi…


Un jazz che regala un sorriso speciale, che dà corpo e spessore al qui, adesso. Un mondo di neri che danzano in continuazione, qualsiasi cosa facciano. Danzano e raggiungono come una dimensione altra del vivere. Una dimensione che riguarda il riscatto dell’oggi sottraendolo allo sguardo cinico dei più. Il riscatto del quotidiano. Il film del quotidiano.


Lo scrittore intellettuale artista che sta nel sobrio alloggio alla periferia di un paesone della provincia, lavora a idee testi e immagini che hanno il compito di portarlo altrove. Di aprirgli un viaggio in mezzo alle casseruole, alle stoviglie, alle pulizie di casa, alla lavatrice che rulla e allo stenditoio, sistemato tra quadri e libri. Un viaggio che avviene qui e altrove nello stesso tempo. Un altrove che viene a lievitare la pasta di questo quotidiano.


Per cui, anche la progettazione che l’artista fa non è quella delle grandi aziende, non è quella della sala riunioni del consiglio d’amministrazione. Ne scimmiotta magari il linguaggio e i modi. Ma è tutt’altra cosa. È viaggiare sempre in questa dimensione avventurosa che permea il normale presente. Prendendo a prestito le metafore dalle grandi imprese epiche, dalla mitologia, dal mondo della poesia. Mantiene la modestia che si confà con le sue umili risorse, ma non desiste dal pensare in termini di grandezza e d’abbondanza. Come guardando un film. Qui, però, il film è la sua stessa vita. E presta attenzione alle piccole cose, ai sentimenti, alle pieghe degli umori e ai silenzi tra le parole. Aspettandosi miracoli.


Come all’inizio.


Fu una trovata. Un’idea magica. Venne da sola e io l’afferrai al volo. E ancora oggi vivo di quell’idea.


Mioddio, mi piaceva da morire saccheggiare tutta quella letteratura sulla moderna cultura d’impresa. Non c’entrava niente con la mia attività d’insegnante. A scuola parlavo di Kant e di Hegel e nel mio alloggio, in privato, divoravo Alvin Toffler, Peter Drucker, Edward De Bono, Robert Gilbreath, Peter Senge, Tom Peters e tutti gli altri. L’intera collana della Sperling & Kupfer…


E sapessi come li divoravo. Sapessi come elaboravo quelle idee. Ricevevo uno spunto, ne sentivo il gusto e lasciavo il cervello funzionare con il suo respiro. Respiravo e mettevo giù. Ho cominciato allora a riempire interi quadernoni di riflessioni. E non ero neanche io che pensavo. Io mi sforzavo di registrare rapidamente quel che il pensiero portava a riva. Hai presente quando insegui qualcuno che sta sempre davanti a te? Il tuo problema è di rimanergli alle calcagna.


Perché quello che mi piace del pensare è che viene da sé. E ti porta una carovana di idee e di spunti che possono davvero arricchire la vita. Sono visite di angeli e di fate. Sei investito da una corrente di personaggi che parlano con verve e concitati. Io rimango sempre a bocca aperta quando mi accorgo del pensiero. Rimango a bocca aperta perché una cosa così personale, come il tuo pensiero, è anche completamente altro da te. Una risorsa che viene da altrove.


Il difficile è starle dietro. Difficile è afferrare al volo quello che ti porta. E spesso la rete delle parole è inadeguata. Maglie troppo larghe, che si lasciano sfuggire le cose più fini. E sarà per questo che sono così interessato a migliorare le mie reti di parole. Un pescatore di pensieri, ecco come vedo adesso lo scrittore. Un pescatore di pensiero che migliora sempre le sue reti.


E fu in quel fermento di pensieri che l’idea venne. E la riconobbi subito. Era la mia idea. Riguardava me. Era come riconoscere l’amore a prima vista. Un colpo di fulmine.


L’idea. Ero pronto oramai ad apprezzarla perché quelle letture mi avevano lavorato dentro. Mi avevano arato. Ero diventato capace di accogliere una fantasia, un’idea magica. E di tradurla in termini pratici e personali. Questo era il punto.


L’idea era come un sogno, un video clip. In questo breve filmato, io precipitavo da una montagna, con il terrore di sfracellarmi in qualche abisso, e, all’improvviso, mi spuntavano ali da deltaplano. Tutto qui. Pochi istanti. Una frazione di secondo. Con quelle ali, cominciavo a volare. Tutto qui. Semplicemente questo. Ma la colonna sonora dell’idea non la posso raccontare adeguatamente. Si può raccontare la musica? La colonna sonora affermava che quella era la mia strada. Lo diceva al cuore e lo diceva in maniera da insinuarti nelle arterie una certezza che nessun ragionamento logico ti può provocare.


Sì – lo penso ancora adesso – è cominciata in quel modo quest’avventura. Un piccolo video clip del pensiero che arriva come un disco volante dagli spazi oscuri della mente e che contiene la risposta alle tue domande. Domande che da anni serpeggiavano irrequiete nelle cavità del tuo corpo, serpenti scivolosi, anguille imprendibili nella parte concava di un ombrello. Continuavo a fare scuola egregiamente, a immedesimarmi nelle vite dei miei studenti, dimenticavo di avere quel covo di vipere dentro, ma, appena la scuola finiva e uscivo dal portone del Liceo, eccolo quel brulichio indiscreto, sempre più invadente e intrusivo. Che fare? Ecco, ora avevo la risposta. Avrei fatto quello che il video clip indicava in maniera inequivocabile. Ci puoi scommettere che l’avrei tradotto in pratica.

Categorie: Eugenio Guarini