l'odore della tua pelle

L’odore della tua pelle

Quando la vidi arrivare nella sua golf sul piazzale, quando i nostri sguardi si incrociarono, beh credo che tutto si decise in quel momento. Era una bella ragazza dagli occhi scuri e una chioma abbondante e mossa, la bocca larga e sensuale, con due pieghette alle estremità – quelle pieghette che avrei guardato con tenerezza e desiderio ogni volta che ci saremmo incontrati.

Io credo che nel suo sguardo intravidi quel desiderio intenso dell’altrove che si manifesta spesso con un’ombra di tristezza sensuale e il mio cuore incominciò ad battere a mille. Mi confesserà in seguito che anche per lei le cose si decisero in quel primo istante. Era come se due linee di forze che si erano cercate nel buio, incontrandosi, si riconoscessero e non potessero far altro che fondersi insieme.

E come potrebbero essere cancellate dal tempo le emozioni di quei primi passi? I nostri incontri d’amore, le conversazioni, le avventure nella clandestinità della nostra storia. Non posso certo dimenticarle, caso mai il difficile è raccontarle, perché quei ricordi mi saltano addosso e pulsano così forte in gola che le parole si spengono sul nascere. No, non riesco ancora a raccontare come si deve, mi manca il distacco, quel minimo di dimenticanza, quell’altro che succede dopo e che in qualche modo prende il posto di ciò che prima ti occupava totalmente. Sono ancora troppo pieno di lei per poter anche dire una piccola parte di questa meravigliosa storia d’amore. Sono ancora troppo saturo di lei per potermi accorgere che esiste qualcosa d’altro.

Se mai ho toccato la felicità con le dita è stato in quei cinque anni. La pittura mi scaturiva esuberante, facevo l’amore con l’interezza dell’universo, e non c’era orizzonte che non potesse essere raggiunto. Ma lei se n’è andata. Amore mio, mi ha detto, nessuno mi ha mai amato come te e certo non amerò mai nessuno come ho amato te. Ma hai 34 anni più di me. Non ci può essere futuro per la nostra storia. E poi ha cominciato a parlare di un cuore grande, capace di molti amori e cose del genere, che mi ferivano come lame di un coltello a serramanico. E con quelle ferite brucianti mi ha lasciato. E ora non esiste niente fuori di quelle ferite. Tutto sembra in fuga. E io mi agito dalla mattina alla sera, senza raggiungere alcunché che abbia una qualche consistenza.

No, non credere che me ne stia senza far niente a fissare il soffitto, a immaginare figure senza confini nel cielo fosforescente di questo inverno. Non è così. Ha a che fare con il mio stile di creatività. Con qualcosa di estremamente personale.
Mi sono messo per la via della creatività immaginando che si trattasse di una sequela di fuochi d’artificio e di esplosivi cambiamenti gioiosi. Di fatto, sono diventato più esperto dell’arte del soffrire, più conoscitore delle pene del cuore, che ti vengono incontro ineluttabilmente quando hai lasciato disegnare sopra la tua testa il cielo immenso dei tuoi sogni.

Ho imparato a guardare in faccia i mostri che dalle sofferenze dell’anima si sollevano e ingombrano lo spazio della coscienza e della vita. Sono vampiri del tuo sangue vitale e possono ridurti al lumicino. Ma ho anche appreso, con tenacia e perseveranza, l’arte di affrontarli e di renderseli nemici leali. E ho capito che una grande, intensa creatività può nascere dalla coraggiosa battaglia con queste ombre oscure, divoratrici della luce. E allora, ecco che il tuo cuore si espande ad una maggiore comprensione dei misteri e della vita. E, forse, ad accedere ad una dimensione dove la felicità e il senso sono meno sbrigativi e leggeri, ma infinitamente più pregnanti e fecondi.

Passo ogni giorno su quel piazzale e ormai non posso fare a meno di ripensare a quel primo incontro. La golf che arriva, e la ragazza dagli occhi pungenti, carichi di desiderio dell’altrove. Ieri ha nevicato e il piazzale è ricoperto di uno strato bianco e farinoso. I campi, attorno, sono una distesa bianca, incontaminata. I ragazzi del condominio hanno deciso una battaglia a palle di neve, più tardi. Me l’ha detto Jacopo a pranzo. Il cielo incombe come uno strato d’ovatta. Al di là di questa cortina bianca, l’altrove.

Categorie: Eugenio Guarini