Tempo d’attesa

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Tempo d’attesa


In quei tempi sembrava che solo provare gusto nel respirare, nel camminare, nel sopravvivere, fosse la cosa più bella cui poter pensare e aspirare.
La memoria diceva che le cose non stavano proprio in questo modo. Ma puoi sognare l’America quando devi recuperare le forze per stare dignitosamente in piedi tutta la giornata?


Io sognavo l’America cominciando da lì: dal recupero delle forze.
L’avevo presa con pazienza.


Le passeggiate quotidiane, al mattino presto.


Con quella sensazione di cose che si stanno movendo, ma anche di incompiuto.


Certo, ogni tanto arrivava come un brivido, il pensiero di uno slancio favoloso e di compimenti efficaci e di conquiste penetranti.
Avevo imparato a defletterlo, a farlo scivolare fuori, di tangenza.


Mi concentravo sui dettagli. Le passeggiate ne offrivano molti. Intanto cambiavo itinerario ogni giorno. A volte partivo da Piandane, verso Belmonte. Altre volte, da Pratiglione alto, verso Madonna della Neve. E ancora dai Milani, direzione Monte Soglio, oppure Mulino del Val verso la casa sulla montagna.
Il tempo era molto favorevole per queste cose.
La vista della pianura era impressionante. Più ancora il profilo delle montagne e l’intaglio delle valli che scendevano giù, verso quest’inizio della pianura padana.


Ogni tanto s’alzava in volo un grifone, dalle ali maestose. Una volta m’è capitato di incontrare camosci, più in alto, nel Parco del Gran Paradiso.
Guardavo i dettagli, confidando che i dettagli avessero la capacità di farti godere dell’adesso.


Era un tempo d’attesa. Non un’attesa passiva e annoiata. Al contrario, un’attesa attiva, propositiva, vivace… ma pur sempre attesa.


Mi scuotevo da questo pensiero. Di fatto, stavano succedendo delle cose, e molto carine, positive. Per esempio erano arrivate commesse di lavoro, clienti dei quadri. Il che voleva dire entrate, risorse per continuare il viaggio. Non è poco. E’ tutt’altro che poco. In definitiva, è importante.
E poi scrivevano molte persone. Molto carine. Vicine con il cuore. Che mi dicevano cose veramente belle, piene di vicinanza.
Era tutt’altro che il deserto.


Che dire?
Solo che nella testa c’era come l’eco di una bastonata.
Aspettavo che passasse.
Aspettavo di riprendere a camminare con passo veloce.
Aspettavo – e ci pregavo sopra – lo stato di grazia, l’ispirazione.


Avevo un po’ di compassione per me. E volevo bene a quasi tutto il mio prossimo.
Mi sembrava che non riuscissi a mettere molto lievito nella pasta delle mie giornate. Era una sorta di attesa. Un capitolo in cui non succede quel colpo di scena che ti fa sentire sulla cresta dell’onda.
Ma faceva parte della mia storia. La quale andava avanti.
La mia pazienza sembrava giustificata.
Ci scommettevo.
Stavo sperando, al posto di disperare.

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