La stanza della disperazione

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il quadro: Andiamo oltre (cm 100 x 100)


La stanza della disperazione


Ecco, è di me che voglio parlare. Anzi è con me stesso.
Questo dialogo con me stesso, queste parole dette a voce alta, anche se a bocca chiusa, mi è sempre stato d’aiuto nell’impresa. Ho pensato perfino che la mia impresa sgorgasse dalle mie parole di riflessione.


La mia impresa si srotola là fuori, separata ancora in gran parte da me. Io sono ancora alle prese con qualcosa che mi riguarda da molto più vicino. Qualcosa di intimo.
Ho sempre pensato che il mio destino fosse un “da qui a lì”. Dall’interno all’esterno.
Il movimento delle cose che mi riguardano all’esterno è già avviato da anni. Ma ancora non c’è quella fusione, quell’identità che sto cercando di realizzare e da cui mi aspetto tanto potere e tanta energia, tanta pienezza.
E dunque sono ancora impegnato a passare giornate a prendere in considerazione le cose che capitano dentro, perché si liberino energie ancora sepolte e frenate.
Oggi ho guardato e ascoltato la mia paura interiore. Quel residuo spesso e pesante che ancora permane e da cui cerco ancora di distogliere lo sguardo piuttosto che affrontarlo direttamente.


Ho voluto costruire nel bosco uno spazio nuovo, tra pioppi vicini che lo consentivano, grazie ad intrecci di grossi tronchi trasversali. L’ho chiamato la stanza della disperazione. Perché è questo il nome che ho voluto dare a quel fondale inesplorato che la mia consapevolezza non ha ancora raggiunto. Ma della cui esistenza, come di un grumo non ancora del tutto sciolto, sono consapevole.


Sono certamente, oggi, un uomo estroverso, gioioso e felice. Ma c’è ancora un residuo là dentro. Lo sento ogni mattina e ogni sera. Mi accompagna durante il giorno mentre sono distratto dalle cose da fare.


Quel grumo è il limite alla mia capacità di credere, sperare, immaginare, abbandonarmi. E credo di intuire con una certa sicurezza che è anche per questo il limite alla mia azione nel mondo.


È ancora con quel grumo, che ha lontane origini, che devo fare i conti. E che voglio.
Per questo sono reso più compassionevole verso tutti coloro che mi scrivono i loro dubbi e i loro tormenti nel tentativo di operare quel cambiamento di vita che li porti fuori dal buco nero, o dall’area grigia, per entrare nella vita piena.
Ognuno ha il suo cammino.
Ognuno ha i suoi limiti.
E le cose devono maturare da dentro.


Io ho una voglia matta di maturare ancora, da dentro. E per questo ho guardato tutto il giorno quel nucleo oscuro da cui emana ancora paura e che ho chiamato il luogo della disperazione.
La costruzione della stanza della disperazione è forse il gesto più concreto che abbia fatto, oggi, per aprire le braccia a quel nucleo, per ascoltarlo, per lasciarlo emergere ed evolvere.
Concreto com’è concreto il peso delle braccia e delle spalle, stasera. Un peso che conserva il ricordo di colpi di machete, di trasporto di tronchi, di sudore e di fatica.


Ma anche questo. L’aver confessato e accettato l’esistenza di quel nucleo di disperazione che mi abita, l’aver voluto ascoltare la sua parola, o meglio, di vedere la sua immagine, di viverla, di fare tutt’uno con essa e di lasciarla esprimere, mi rende, questa sera, più libero, più audace, meno lontano da me stesso.


L’immagine. Vedevo un giovane cavaliere, seduto sulla panca della sua dimora, angustiato da mancanza di coraggio, mentre là fuori infuriava la battaglia.
La sua tristezza era la mia. E mi sono assunto il suo peso.
Allora ho detto che sarei uscito ad esercitarmi con la spada, rafforzare il corpo, e allargare il respiro del coraggio. Perché domani sarei andato a dare il mio contributo nello scontro delle armi.


INFO. DOMANI, GIOVEDI’, DALLE 9.00 ALLE 12.00 E DALLE 15.00 ALLE 18.00, SARò NELLA SALA COMUNALE DELLA EXPO. Idem venerdì e sabato.
Domenica, dalle 16.00 alle 19.00.

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