Terra Mater

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Il quadro: Terra Mater


Terra Mater


Credo che siamo in tanti ad essere stati richiamati dal tema della Leggenda Personale che Paulo Coelho ha fatto risuonare in ogni angolo del mondo. Perché è esattamente quello che il nostro cuore sogna. Che ognuno di noi, venendo al mondo, ha un suo compito e una sua missione. Che essere al mondo non sia senza significato. Che essere vivi voglia dire essere destinati personalmente a qualcosa. Che la nostra vita individuale sia un’avventura speciale dotata di senso.


Nessun sapere scientifico ci darà la certezza su questa faccenda. Però, nessun sapere scientifico ha la forza di escludere che il nostro sogno possa realizzarsi. Che i nostri desideri profondi abbiano una loro verità.


E allora, in tanti, incominciamo a interrogarci per capire cosa, dentro di noi, è in grado di segnalare il senso della nostra vita. E lo facciamo uscendo dai ruoli che troviamo già descritti nella società. Cercando di ascoltare i segnali, semmai gli eventi e il nostro cuore siano in grado di darci delle indicazioni.


E ci rendiamo conto che, scommettendo su questa ipotesi piuttosto peregrina, in certi casi perfino folle, qualcosa si accende nel fuoco che ci portiamo dentro. E che la vita comincia ad essere avventurosa – anche se paradossale.


Senza la protervia assertiva della certezza assoluta, noi incominciamo a disegnare itinerari possibili che ci congiungano a ciò che – in negativo – immaginiamo come pienezza del vivere.


Io lo faccio, fronteggiando quotidianamente lo scetticismo del mio cervello. E vado raccogliendo, giorno per giorno, note di viaggio. Una sorta di diario di bordo del navigante.


Cosa definisce la mia leggenda personale?
E sono indotto a cercare nel baule magmatico dei miei desideri.
E vado scoprendo che non si tratta poi tanto di cosa fare – del tipo: il medico, il violinista, o il pittore…
Mi sembra che i tratti della leggenda personale stiano più nel modo di fare quelle cose. Il modo viene ad indicare uno stile di vita. Una situazione in cui non solo ciò che ami, ma come lo ami fare – vale a dire nel rispetto di quello che ti trovi a scoprire che sei – è decisivo.


E questo, mentre ti spinge lo sguardo lontano, verso il futuro, ti riporta ad osservare con cura il quotidiano, l’oggi, il qui e ora. E si crea un curioso paradosso: che mentre tu proietti il film davanti a te, lontano ancora nel tempo, tu sei impegnato a vivere il come già ora.
Quello che sogni è nel domani, ma vuoi che sia già nel presente. E sai che la tua creatività per il futuro si cimenta già in ciò che sei capace di aggiungere all’oggi.


 Io – per esempio – sento che è l’arte – la pittura, la scrittura, la musica – che mi chiama. Ma sento anche che la mia leggenda personale è tratteggiata da una sorta di immagine che mi vuole come un albero fecondo, una donna perennemente incinta, partoriente. Ed è per questo che sto la maggior parte del tempo nella mia tana, nel pensatoio, nel mio atelier, intento a mettere al mondo quadri e pensieri. E ad affidarli al vento.


Certo, lo so, che è necessario che mi guadagni da vivere. Che venda le mie cose. E sono in gran parte affidato a ciò che si può chiamare fortuna o provvidenza. Vale a dire, a rischio di fallimento.
Comunque, questa appare la condizione mondana perché io possa essere. E non voglio sottrarmi a questo destino. È la situazione di ogni uomo e di ogni donna. E io amo pensarmi esattamente uguale a tutti quelli che per vivere e pagare le bollette devono trafficare con le leggi della terra e del mercato.


Ma non voglio lasciarmi definire da questo compito. Perché la mia leggenda personale è quella di essere albero fecondo, donna perennemente incinta e partoriente. E mi piace essere in perpetuo travaglio.


Assomiglio alla Terra, di cui son figlio.


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