Gli affari sono affari.

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Gli affari sono affari. O no?


Si discute molto sulla riconquista dell’anima negli affari, nell’economia, che si tratti di produzione o di commercio o di finanza. È un bel segnale che arriva da ogni parte. E nei luoghi in cui si fanno tentativi e ricerche verso quest’orizzonte ci vedo giovani, a volte giovanissimi, che si spendono con entusiasmo, con passione. Che bel segnale! E non importa se le visioni e le teorie non riescono a mettere tutto a posto, non importa se il cerchio della comprensione teorica non si chiude. Anche qui, il solo lasciar fluttuare liberamente le domande è una forza dinamica che spinge avanti.


Già la presenza di queste domande cambia il senso degli affari.
Il business – si diceva. Gli anglosassoni ci hanno insegnato che business is business. Il che voleva dire: senza interferenza d’altre considerazioni (etica, sentimentalismi, cuore…). Oggi stiamo assistendo ad un vasto movimento che presume audacemente il contrario. Che business non è solo business. Questo movimento vuole riportare il business nella pienezza del senso della vita.


Certo, c’è il mercato, tutti devono comprare sul mercato ciò di cui hanno bisogno o desiderio. C’è il vasto apparato della produzione di cose e servizi. Le imprese e i singoli devono fare i conti e commisurare entrate e uscite. Tutta questa grande sfera economica che fluttua e si evolve e che gli economisti tentano continuamente di comprendere. E che gli economisti più intelligenti confessano di non riuscire mai a comprendere abbastanza. E c’è il denaro, questa risorsa fondamentale per fare e intraprendere, della quale, come per l’amore, si può affermare che non ce n’è mai abbastanza.
È una realtà. Un dato di fatto, una struttura decisiva della nostra vita.


Solo questo: che oggi sentiamo che non può dominare la nostra vita come siamo stati abituati a credere. Non può farlo impunemente. Ed è per questo che cerchiamo di ridimensionare la sua presa sulle nostre intenzioni e motivazioni, sulla nostra visione della vita. L’economia sta cercando la sua anima. E, facendolo, trasborda oltre i confini tradizionalmente imposti a se stessa. Esce fuori di sé. Hegel avrebbe detto che cerca la sua realizzazione e il suo senso in altro da sé, morendo come economia e diventando qualcos’altro.


I nostri ragazzi più sensibili entrano nell’economia non solo per ricevere uno stipendio, ma per esprimere al meglio se stessi, per realizzare i valori che li animano e questo li porta direttamente oltre l’economia del business is business.
E la stessa economia ha delle parole che, a guardarci dentro, dicono molto di più che business. In italiano “affari” non rimanda solo a “quattrini” ma a “cose da fare”, Che cosa hai “da fare” nella vita per essere fedele alla tua vocazione? “Impresa” rimanda a spirito d’avventura, intraprendenza, scoperta, romanzo, straordinario, coraggio, pensare in grande… e invita gli individui a dare il meglio di sé a mettere alla prova i propri talenti, a realizzare un’esistenza piena di senso. “Lavoro” o “travaglio” riconducono a gestazione e parto, per dare vita nuova, a sé e al mondo.
A volte, per dare l’anima all’economia, non è necessario inventare altre parole, ma basta guardare dentro a quelle tradizionali con un occhio più libero e coraggioso e seguirne il richiamo.


Nell’economia come nel nostro corpo, l’anima è dentro, spesso prigioniera. Guardarci dentro è un passo importante per aprire le porte.


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L’immagine: Guardare dentro

Eugenio Guarini
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