Rinascere

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Rinascere.


Sì te ne puoi accorgere nel momento stesso in cui ti rendi conto di aver commesso un errore. Un errore grossolano. Spesso a questo punto la rinascita è già avvenuta.
Sarebbe interessante osservare con finezza di spirito quella che chiamiamo cattiva coscienza. Perché il linguaggio pratico che abbiamo a disposizione sovente prende degli abbagli fatali.
Qualcosa mi suggerisce l’idea che non facciamo quasi mai degli errori. Noi facciamo cose che nel momento ci sembrano portarci dove vogliamo arrivare. Piuttosto l’errore sarebbe non fare nulla per paura di commettere sbagli. Le nostre azioni – in mancanza di una conoscenza certa e sicura – sono per lo più tentativi, un muovere le acque per vedere che cosa ne viene. E non fanno così i ragazzi quando esplorano un territorio sconosciuto? E perché mai da grandi, visto che sappiamo molto di più, dovremo rinunciare a quest’audacia giovanile nei territori dove non sappiamo nulla?
È in definitiva quell’audacia di agire anche se siamo ignoranti che ci consente di conoscere un po’ di più. Il timore di fare una pessima figura nel caso che le nostre azioni non trovino riscontro è di solito eccessivo. Si subordina per eccesso a pregiudizi sociali e alle regole dell’etichetta.
Chi vorrebbe commettere un errore se sapesse a priori che è sbagliato?
Noi desideriamo e il desiderio ci mette in moto e facciamo quello che possiamo. E può essere prudente, cauto, circospetto, chi non ha imparato da innumerevoli errori ad attendere, a non precipitarsi, a seguire il corso degli eventi? Ma anche questa cautela non eliminerà il largo margine d’incertezza su quello che ci riserva il futuro. E ci troviamo sempre – nelle cose che contano davvero – a fare i conti con l’incertezza.


Alcuni si fanno cattiva coscienza quando i risultati delle loro azioni sono un fallimento rispetto alle intenzioni e alle attese. Questa cattiva coscienza è un fenomeno a posteriori. Insorge a cose fatte. A decidere se sei stato temerario o coraggioso sembra essere il risultato. Non mi pare rispettoso della dignità umana questo dipendere dal risultato. Certo, i risultati sono quello che conta ed esprimono al meglio la fecondità e la qualità di chi li ha prodotti. Ma non mi sembrano da prendere come il criterio della buona coscienza.
La buona coscienza va realizzata nel momento stesso della decisione di fare.
Ma se agiamo sempre nell’incertezza non siamo condannati ad agire sempre in cattiva coscienza?


Un criterio migliore mi sembra quello di commisurare la decisione con quello che suggerisce il cuore. Mettere in atto decisioni che siano in sintonia con la voce del cuore, con il soggetto agente – più che con il risultato (imprevedibile). Cercare quella somiglianza profonda tra l’azione e quello che si è e che si sente. Perché la cattiva coscienza fiorisce immediatamente – prima dei risultati – quando si agisce in dissonanza con quello che si è.
E questa centratura con se stessi merita di essere chiamata un lavoro spirituale perché non è possibile indicare operazioni materiali che la producono, simili alle operazioni di una macchina sul materiale che deve lavorare.
E tale lavoro spirituale ha una caratteristica sorprendente rispetto ai lavori materiali che si fanno con le macchine o con gli utensili. Che non dipende totalmente dai tuoi gesti, dai tuoi sforzi, dai tuoi atti di volontà, dalle parole che ti dici.. Questo lavoro spirituale semplicemente accade. È un evento.
Tutto quello che hai da fare è di aprire le porte perché possa entrare in casa.
Ed è allora che tu assisti alla tua rinascita.


Leggo che oggi molte persone, arrivate ad un certo punto, anche avanzato, della loro carriera, cambiano aria, sogni, orizzonti. E scoprono d’avere altri talenti e passioni. Come Laura P. che dopo aver accumulato tre esperienze come responsabile delle risorse umane in aziende multinazionali, ha deciso di cambiare. Oggi è una coucelor, cioè dà assistenza a chi, come lei, soffre la rigidità dell’impiego fisso e ha bisogno di un “piano B”.
“Facevo sempre più fatica, in ufficio contavo le ore. Non sono io! – mi ripetevo. Non mi riconoscevo nelle dinamiche di potere con cui il mio ruolo di direttore del personale mi costringeva a fare i conti. Per me, come per chiunque, fare a meno delle sicurezze date dallo stipendio e dal ruolo, non è facile. Ma poi, quando arriva la forza di affrontare un “vuoto” da colmare, torna il piacere”.


Rinascere è così. Prima eri stanco e ti sentivi vecchio. Ora sei fresco e giovane.


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Titolo del quadro: Rinascere.


 

Eugenio Guarini
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