Lettere da Nosolandia 25
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- (Disegno: “Scena ai giardinetti”, cm 120×90)
Lei: “La forma più alta di creatività non consiste nel creare un oggetto d’arte o di design, o che so io…”
Lui: “Io ho acquistato una lampada Tolomeo, progettata da Michele De Lucchi…”
Lei: “Bella, certamente. Ma io sto parlando di altro…”
Lui: “E quale sarebbe la forma più elevata di creatività?”
Lei: “La capacità di rendere nuova la propria vita. Nuova. Voglio dire rinnovata, fresca, innocente, entusiasta. Questa è per me la forma più grande di creatività”
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Ho iniziato a leggere L’arte di camminare, di Roberta Russo. Di libri sul camminare né ho ormai diversi. Non appena ne trovo uno nuovo con la parola “camminare” nel titolo, è più forte di me, lo acquisto.
Sono così legato al camminare che, anche dopo questi troppi mesi di sedentarietà obbligata, sono in continuo ascolto delle gambe in attesa dei segnali che mi daranno il via libera per riprendere questa pratica quotidiana.
Mi piaceva andare in giro, in campagna o nei boschi, con il mio taccuino, pronto a acchiappare pensieri o a scenette col disegno.
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(Disegno: “È presto per dirlo”, cm 120×90”)
È paradossale che lo dica io che in questo periodo ho le gambe semi paralizzate, ma sembra che da diverse parti della nostra società avanzata si levi un bisogno di rallentare, se non addirittura di fermarsi. Insomma la mia neuropatia è forse la cifra dell’appartenenza a un’avanguardia culturale?
Sto scherzando. Vorrei davvero poter correre e amo anche la velocità. Ma CONTEMPORANEAMENTE ho estremo bisogno di lentezza e anche di sosta. Infatti non si deve scegliere tra i due, quasi fossero due filosofie o stili di vita contrapposti. Anche senza la neuropatia io amavo camminare lentamente la mattina nelle campagne solatie. Mentre a dipingere e disegnare sono rapidissimo.
E, con un discorso parallelo, direi che anche il bisogno di scrivere a mano si affianca volentieri alla scrittura rapida alla tastiera del computer.
In auto tendo a essere più lento di un tempo, ma le ragioni qui vanno cercate nell’età. In compenso sono diventato più paziente con i vecchietti che guidano ingombrando la strada.
La signora della Croce Rossa che mi ha portato stamani all’ospedale al contrario si spazientiva ferocemente nei confronti di questi ostacoli alla sua guida nervosa. Ma ha tempo anche lei… ad invecchiare.
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(Disegno: “Mare mosso”, cm 120×90)
Disegnare (e scrivere) mi piace da morire. La scelta che ho fatto vent’anni fa, questa meravigliosa e appassionata via dell’artista, è stata determinata in gran parte dal fatto che mi piace tenere la matita in mano tutto il santo giorno.
Il disegno è un linguaggio dotato di quella straordinaria qualità che chiamiamo ambiguità e che significa dire insieme molte cose. E la parola è un disegno, che amo coniugare in modalità diverse, dalle mappe mentali, ai sonetti in rima, alle riflessioni ispirate. Insieme disegno e parola sono partiture musicali per la mente sognante. Sceneggiatura del film della vita.
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(Disegno: “Il giorno degli aquiloni”, cm 120×90)
Facevamo volare gli aquiloni,
amici del vento.
Erano i nostri sogni che si alzavano in cielo,
preghiera colorata e leggera.
Perché i desideri nascono privi di dubbi,
carichi d’infallibile magia.
Un filo sottile, ancorato al nostro corpo,
rendeva più leggero il nostro gioco.
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(Disegno: “Quando il vento”, cm 120×90)
Oh certo che mi piace.
Credo che sia così non solo per l’artista, ma per ogni persona. E in fondo, oggi, non sentiamo tutti il desiderio di essere artisti della propria vita?
Più che fare quadri, vorremmo creare la nostra splendida avventura, l’appassionante romanzo della nostra vita.
O il film.
E infatti nel nostro dialogo interiore non facciamo che proiettarlo nella mente.
E allora mi piace quando faccio il regista e lo sceneggiatore. E mi piace soprattutto quando mi pare d’essere ispirato.
Quando il vento gonfia le vele. E si scivola sull’acqua, reggendo il timone.
Non è sempre così, ovviamente.
Ma quando il vento… Allora…
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(Disegno: “Dov’è Alice?”, cm 120×90)
Mi sveglio e sono perplesso. Mi rendo conto che della vita so veramente poco. E quello che so potrebbe essere piuttosto sbagliato. Ho solo tanta voglia di vita piena: gioia, creatività, azioni efficaci, desideri realizzati, cose del genere. So che mi voglio bene e mi prendo cura di me. Cerco di tenere su il morale. Mi carico di pensieri che mi regalano stimoli e spesso entusiasmo. Poi faccio dei tentativi, con quello che so fare. Mi avventuro. E questo mi piace. Spero che la Vita mi sia favorevole. La buona stella, quella cosa lì. Sono anche un po’ scaramantico. Talvolta sciamanico. Rispetto ai ragionamenti ben fatti, sono spesso folle. Voglio credere a cose che non hanno nessuna giustificazione logica. Immagino di avere poteri che non sono stati mai testati. M’illudo volentieri, sapendolo. Leggo gli oroscopi di Rob Brezsny (li trovo creativi). So plasmare i miei umori con le parole. Non conoscendo la verità delle cose, cerco di giocare con le apparenze e mi creo i miei film mentali. Ho bisogno di una colonna sonora e di una scenografia colorata, per reggere l’incontro con la realtà. Evito più possibile i telegiornali, perché dicono che là fuori è una tragedia, per lo più. Se penso che si muore trovo che non è giusto. M’immagino che sia uno scherzo, una trappola. Ma non la parola fine. So che non c’è nessuna ragione per questo. Soltanto che a credere a questo mi fa stare meglio.
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Cosa c’è di più bello di saltare giù da letto al mattino con la voglia di fare perché ti aspetta quella tua passione, quel tuo forte interesse, quella cosa che adori perché è proprio il luogo dove esprimi il tuo talento e ti senti utile al mondo?
Il segreto della gioia di vivere forse sta tutto qui: avere una passione e sentirsi utile.
Le difficoltà che incontri sono superabili se hai passione. E le azioni ispirate dalla passione non comportano fatica: sono un gioco piacevole.
E com’è fantastico imparare per tutta la vita! Essere un eterno allievo della vita. Questa è avventura. È la ricerca del Santo Graal, il viaggio verso l’Isola Misteriosa, la grande Caccia al Tesoro.
Non far decidere dai notiziari se puoi essere felice o no. Decidilo per conto tuo, a prescindere, come qualcuno dice.
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(Disegno: “Il viaggio continua”, cm 120×90)
Stamattina ci ho provato. Sono sceso nel piazzale che era ancora buio. Ho camminato per una mezz’oretta, parzialmente aiutato dalla stampella. Il respiro si è regolarizzato. Una sensazione piacevole addosso. Una camminata lentissima, alla Tai Chi. Il proposito è emerso chiaro: ogni mattina, sì, ogni mattina. Inizia un training autogestito. Lo scopo: riprendere a camminare come si deve. Un po’ per volta. Dai!
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Sì è vero, parlo sempre di gioia e c’è una ragione per cui vi insisto. È per contrastare il senso di depressione e il rancore che serpeggia nei discorsi pubblici. Ma non ho dubbi: il benessere non può essere solo nella nostra testa. La sensazione soggettiva della vitalità, della gioia non è sufficiente a definire il benessere. Il benessere richiede la presenza di altri fattori, distinti dalla gioia. L’impegno, la realizzazione, le relazioni positive e il significato, che sono altrettanto importanti per il benessere, hanno elementi oggettivi, in assenza dei quali la sensazione di gioia può essere semplicemente una droga illusoria.
La malattia è un terreno particolare di verifica di questa teoria: anche se è di estrema importanza, non basta tenere alto il morale per guarire, ci vuole un oggettivo cambiamento nell’organismo. E devo aggiungere che il buon umore, si affianca ai farmaci e agli interventi chirurgici per determinarlo (almeno, si spera).
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(Disegno: “Dentro l’acquario”, cm 120×90)
Oggi ho parlato (a voce) con un’amica di Facebook (un’amica recente). E poiché si occupa di psicoanalisi ed è una che apprezza Massimo Recalcati, è stato davvero interessante sentire le sue idee sull’inconscio e sull’importanza dell’analisi. Nel suo linguaggio l’analisi dovrebbe rendere fluido quello che l’inconscio trattiene come un grumo. È un’immagine che mi piace. Mi piace la fluidità che è connessa con la spontaneità sana, oserei dire ecologica, dell’espressione di sé. Perché capisco che indica un processo in cui il dovere si è emancipato dal sacrificio e dalla rinuncia e si è finalmente coniugato con il desiderio. Il che vuol dire sviluppare i propri talenti, lavorare a ciò che si ama davvero e trovare quella gioia di vivere che è l’aspirazione più fondamentale della mia avventura.
In secondo luogo è stata un’esperienza bella perché consegue un’altra ambizione. Quella di usare il social come ponte per raggiungere realmente delle persone interessanti e sondare la possibilità di condivisioni rimarchevoli. Eventualmente rendere concrete delle imprese comuni, se ci sono le condizioni. Ho già avuto esperienze di questo genere con Massimiliano e Federico, giovani scrittori, realizzando un felice matrimonio tra i miei disegni e i loro testi. D’altra parte trovo anche umanamente importante la solidarietà quotidiana che si sviluppa a proposito della malattia, e più in generale per sorreggere il nostro stato d’animo nell’affrontare i casi della vita.
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(Disegno: “Carezza”, cm 120×90)
Ci sarebbero molte cose da dire. Però la prima che mi viene in mente è il piacere di trasformare il rapporto sui social (quello fatto di “mi piace”) in un rapporto tra persone. La voce al telefono, l’immagine tramite Skype, le conversazioni reali tra persone reali. Sì, lo so che anche i “mi piace” sono tra persone reali. Ma ai limiti dell’inverosimile. A meno che tu non decida di fare un passo in più. Naturalmente se pensi che ne valga la pena. Se pensi che a te servirebbe un contatto reale. Magari vuoi scambiare due parole su quello che stai vivendo. Oppure sei curioso di sapere qualcosa di più su quella persona che ha fatto quel commento che ti è piaciuto. A me succede spesso. E mi dispiace rimanere in trincea. Aspettando Godot. Delle persone potrebbero prendere l’iniziativa. In fondo avere molti “mi piace” non cambia le cose. Ma parlare con qualcuno che t’incuriosisce potrebbe farlo. E poi, alle brutte, ricevi solo un NO! Non è la fine del mondo. Ma io penso che se molte persone vanno su Facebook a postare qualcosa vuol dire che sentono il bisogno di condividere. Non so, che ne dici?
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(Disegno: “Andiamo a vedere”, cm 120×90)
Ma certo, trasformare una relazione social in una relazione reale non è un dovere. È un’opportunità. E, con tutto quello che ognuno ha da fare, come potrebbe reggere a centinaia di relazioni? Io voglio dire: la possibilità di scegliere qualcuno che sembra in sintonia, o che ha qualcosa d’interessante, a fiuto. Io ho cominciato la vita su Facebook per far vedere i miei lavori. Sono un pittore e avere un feedback immediato mi aiuta assai. Poi c’è la pubblicità, perché come tutti i pittori cerco di vendere le mie cose e per vendere la prima cosa è mostrare. Ma un po’ per volta sono cresciute le aspettative e i desideri. Il piacere di parlare con qualcuno che (lo intuisci) ha una sua vita di ricerca. Che sta riflettendo su quelle domande impossibili che ci facciamo sempre. A me piace molto entrare nella testa degli artisti e cercare di scoprire il loro processo creativo. Oppure qualcuno che sta vivendo un’esperienza simile alla tua e ci sta provando. La malattia mi han messo in contatto con diversi amici che hanno il tumore, la sclerosi multipla, la SLA, la mastectomia e affini. E poi c’è questa cosa favolosa che le distanze non esistono più. Io parlo quasi tutti i giorni con un’amica medico nel Turkmenistan. E lo trovo bellissimo. Se fosse come prima, senza Internet, non saprei neanche che esiste.
P.S.
La mia amica del Kazachistan mi ha raccontato un po’ di storia della sua famiglia. Ho scoperto che in quel paese l’Unione Sovietica mandava tutti i nemici del popolo. Oggi il Kazachistan è una repubblica indipendente, la nuova capitale è Astana. Il presidente della Repubblica chiama i maggiori architetti dell’Europa a creare una città super moderna, Tutte cose che ignoravo prima di conoscere la mia amica. E la mia amica l’ho conosciuta grazie ai suoi commenti entusiasti sui miei lavori su Instagram… Dici poco?
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(Disegno: “Siamo connessi”, cm 120×90)
Probabilmente lo siamo sempre stati, ma ora, Internet rende visibile questa cosa che era ancora nascosta. redo che sentiamo tutti il desiderio di farne qualcosa di costruttivo e di evolutivo. Come aumentare le nostre capacità di ragionamento, di intuizione, di creatività, semplicemente perché possiamo scambiarci idee e pensieri. Le buone idee di un altro, condivise, diventano velocemente le mie, e mi spingono ad elaborare ancora.
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