Categoria : Eugenio Guarini
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“È vero”, disse Carla. Lei è sempre molto schietta con me, malgrado le piaccia tingersi i capelli con colori inverosimili. Mi sorprese la fermezza del suo sguardo, conficcato dritto nei miei occhi, mentre se la cavava in questo modo: “Sei un bravo ragazzo, lo so. Ma anche piuttosto noioso con quella continua tensione drammatica verso una qualche verità più profonda. Non so come faccia a resistere senza che ti venga l’ulcera”. Poi ebbe un sussulto, come di chi ha appena fatta una gaffe. “Vabbè che hai un linfoma e una neuropatia alle gambe, ma se vuoi fare lo scrittore, non hai scuse: bisogna che impari a essere un narratore più piacevole. Punto”. Poi si allontanò con i sui due cagnolini e il gatto verso i giardinetti.
La verità di questa critica mi bruciava forte, lo devo confessare. Ho provato a cercare in tutta la mia esistenza un qualche momento che dimostrasse che proprio privo di umorismo non lo ero del tutto. Mi trovai in una difficoltà terrificante.
Poi mi venne in mente l’episodio del Commissario Benelli. Quell’episodio si salvava dalla pesante coltre di seriosità che avvolgeva la mia biografia.
Questa storia l’ho raccontata diverse volte e sempre, quando lo faccio, mi regala una boccata di ossigeno, mi solleva dal mare del Dramma Liturgico.
Era estate, calda e sonnolenta. Io uscivo da un esame di maturità dove svolgevo la funzione che allora veniva designata con il titolo ambiguo di “membro interno”. Stavo andando con la mia Due Cavalli arancione in città, affidato ad una sorta di guida automatica, finestrini aperti e la testa ai livelli minimi di presenza consapevole.
Fermo un semaforo rosso intravedo sul marciapiede, a destra, un gruppetto di ragazzi, che si agita come in un film muto.
Poi una ragazza, sciupata e bruttina, si stacca dal gruppo, si avvicina al finestrino, apre la portiera, entra dentro, si siede, chiude la porta, con un gesto improvviso della mano sinistra afferra il bollo della macchina da dentro la relativa custodia in plastica e mi fa sapere: “Quei figli di puttana non me la danno: ti faccio l’amore mi dai cinquantamila lire?”.
Non saprei dire esattamente quanti secondi mi ci vollero per riemergere dal dormiveglia e affiorare nel mondo della realtà. Furono certamente pochissimi, perché il semaforo continuava ad essere rosso. A me sembrarono molti di più. Però quando il processo del risveglio fu terminato mi resi conto che la realtà mi si presentava piuttosto spiacevole. La ragazza, la sua richiesta, quel dannato bollo di circolazione fermamente serrato tra le dita della sua mano sinistra…
Come in uno sceneggiato televisivo ebbi un’anticipazione del telegiornale del giorno dopo. “Professore di Liceo tenta di abusare di una ragazza che se ne esce urlando dall’auto dove era stata invitata”. Con quel che segue.
Come uscire da quella situazione?
Il semaforo diventa verde, ingrano la marcia, supero l’incrocio, mi accosto al marciapiedi successivo e arriva il flash ispiratore.
“Sei cascata bene, ragazza mia”, dico con una voce senza esitazioni, mentre con la mano destra afferro di scatto il bollo della macchina sottraendola alla ragazza. “Sono il Commissario Benelli. Adesso mi racconti tutto”.
La ragazza, che doveva essere stordita più di me e probabilmente in crisi d’astinenza, sorpresa, sgrana gli occhi in uno sguardo sconfortato e immediatamente dopo rabbioso. La macchina è ferma. Apre la portiera, me la sbatte forte allontanandosi. Io non perdo tempo, ho già la marcia innestata e spingo il piede sull’acceleratore: la Due Cavalli scatta via come una saltabecca e avverto la sensazione trionfale di essermela cavata in maniera egregia.
Quando racconto la vicenda, il giorno successivo, alla Commissione d’esame, ricevo i complimenti divertiti di tutti.
Sì, la storia fa ridere coloro che mi ascoltano. Dentro di me avverto tuttavia un gusto amarognolo. Come se il mio trionfo creativo non mi desse poi tutta quella soddisfazione. Quella povera ragazza… Ma non voglio lasciarmi trascinare di nuovo nella seriosità. Carla ha ragione: devo provare a diventare un narratore piacevole. E un po’ d’ironia forse è quello che ci vuole.
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