Categoria : Eugenio Guarini
Categoria : Eugenio Guarini
Lettere da Nosolandia 23
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(Disegno: “Vele e vento”)
Anche se non ci si parla tutti i giorni, ormai siamo collegati, c’è silenziosa solidarietà tra noi, e frughiamo regolarmente tra i nostri profili su Facebook per renderci conto della situazione. Sto parlando dei malati di tumore e affini con cui sono entrato in contatto fin dall’inizio delle Lettere da Nosolandia. Ogni tanto ci scriviamo un po’ più a lungo, in chat, su Messenger. Qualche volta ci parliamo anche a voce al cellulare o su Skype. Ci diciamo i disagi del momento, o annunciamo che “domattina ho la chemio”. Sempre è per sostenerci, perché è una battaglia, una navigazione in mar agitato, le vele al vento. Non tutti i giorni abbiamo mani abbastanza forti da reggere il timone, ma ci diamo da fare per raccogliere le energie e coltivarle. E soprattutto vogliamo arrivare dall’altra parte dell’oceano. Vogliamo raggiungere terra. E se, durante il viaggio, abbiamo momenti di bonaccia, allora riusciamo anche a cantare, ad andare a un concerto, a vedere uno spettacolo teatrale. Perché l’energia di cui abbiamo bisogno non è solo dei muscoli. È dell’animo. È coraggio e slancio.
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In qualche modo si può danzare, anche se le gambe non ubbidiscono. Io danzo con le gambe che avrò dopo, disegnando tante gambe che saltellano. Ma che dire della danza dei pensieri, dell’immaginazione, dell’esplorazione del mondo interiore, del tramestio vibrante della gente che trovo dentro di me?
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(Disegno: “Il giorno degli aquiloni”)
Quando facciamo volare gli aquiloni ci allontaniamo nel Cosmo, entriamo in uno stato di trance in cui si intuiscono verità felici, che penetrano con disinvoltura nei segreti della realtà, e assistiamo al formarsi di immaginarie congetture sulla vita che saltano a piè pari i confini del verosimile usuale. Per il poeta, lo scienziato, il danzatore, il musico e l’avventuriero, l’Altrove è sempre più importante del consueto.
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Sì, è giusto entusiasmarsi al pensiero che mentre scrivo queste parole, o faccio la chemio, o disegno con i miei strumenti, o finisco di cenare, c’è un gioco di sinapsi tra i miei neuroni. È bellissimo osservare le immagini che le neuroscienze mostrano quando stabiliscono collegamenti tra le nostre emozioni e le aree del cervello che vengono eccitate. Quanto a concludere che noi siamo soltanto degli algoritmi che invece che al cilicio lavorano al carbonio non mi sembra definitivo. Anche se noi siamo algoritmi, non siamo solo quello. Siamo algoritmi che sanno di esserlo e che sono in gioco consapevolmente, finora. Quanto alla prospettiva di diventare obsoleti e inutili di fronte al trionfo di algoritmi molto più potenti, cercheremo sicuramente di non lasciarci marginalizzare senza opposizione e resistenza. Insomma, finora io sono il mio io narrante e se anche me le invento di sana pianta è esattamente per essere quello che sono.
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(Disegno: “Fioritura di stagno”)
Connessi lo siamo. E lo siamo in continuazione. La rete ci conosce sempre più a fondo. Ma noi ci conosciamo abbastanza? E soprattutto sfruttiamo questa straordinaria circostanza per fare cose meravigliose?
I fiori del mio stagno sono esuberanti di vitalità colorata. In questi giorni nuvolosi contestano al cielo il diritto di colorare la giornata. Se ne assumono il compito, profumando energia gioiosa.
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(Disegno: “Sinfonia di colori)
A volte è come avere per colonna sonora una sinfonia di Ennio Morricone: qualcosa che sa di sogno ti trasporta come in trance in una dimensione che rende più leggeri i passi nella polvere della terra, su per le scale dei palazzi e i salti degli ostacoli.
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(Disegno: “Stampe esotiche”)
La narrazione sì, quella fa proprio per me. Non faccio che raccontare la mia vicenda, sono in mezzo a una storia che vivo nell’atto stesso di raccontarla. Io sono affezionato al mio io narrante al punto da non preoccuparmi per niente se non ricorda esattamente quello che è successo e travisa i fatti solo per mantenere la propria dignità. Soprattutto adoro il mio io narrante nel momento stesso in cui inventa il suo futuro. E questo lo fa ogni giorno. È la sua attività principale. Il mio presente è un Io narrante che inventa il suo futuro.
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Nasce il giorno qua davanti.
Non è necessario che sia un giorno uguale a ieri.
È possibile che qualcosa di nuovo si sia insinuato nella logica delle cose.
Lo avverto come una sorta di urgenza dentro di me.
Dentro questo rettangolo consapevole che è la coscienza.
Dentro il nucleo caldo di ciò che chiamo “Io”.
E intendo rispondere, fermandomi un po’ e facendomi di nuovo le vecchie, care, domande: Dove voglio andare? Cosa sto facendo? Sono soddisfatto? Cosa posso fare?
Voglio rimettere in fila le cose.
Non per riallinearmi al passato, ma per aprire una strada verso il futuro.
Ho bisogno di ridisegnare la mappa.
L’orizzonte. La visione.
E di farlo da fermo, non di corsa.
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Questa notte ho sognato di correre. L’erba del grande prato era stata appena tagliata. Correvo con leggerezza attorno a un boschetto di frassini e robinie. Mi sembrava impossibile. Eppure era così reale che al risveglio ho provato una grande delusione. Ero così felice nel sogno. Pensavo che era impossibile, eppure stava accadendo.
Mi sono ricordato di un periodo in cui sognavo sovente di volare. Avevo trovato il modo di fare un salto e mettermi orizzontale. Rimanevo sospeso nell’aria e bastava che allungassi la mano, con il dito puntato (come Superman) e partivo nella direzione voluta. Era una sensazione meravigliosa. Il sogno si era ripetuto un numero incredibile di volte. Al risveglio ero tentato di ripetere l’esperimento del salto e messa in orizzontale. Non ho mai trovato il coraggio.
Però, questi sogni bellissimi, lasciano una scia di fiducia nell’incredibile che fa bene.
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(Disegno: Incantatrice di pesci”)
Non è meraviglioso quando si realizza un tuo desiderio senza che te l’aspettassi, senza che tu abbia fatto qualcosa di speciale perché questo avvenisse? Oh, sì che è meraviglioso e magico. E come sarebbe bello che ce ne fossero tanti di eventi di questo genere. È bello impegnarsi e ottenere. Ma è ancora più bello ottenere senza aver fatto nulla di speciale. Un amico diceva che una buona botta di culo è meglio di una programmazione accurata.
L’immagine del mio disegno non suscita qualcosa del genere?
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(Disegno: “Danza nel vento”)
Un’idea nuova rimane nuova per un tempo breve. Noi stiamo diventando sempre più famelici di novità. Non giudico. È un fatto. Lo provo in prima persona. La novità fa pompare adrenalina. Ci si sente vivi. Ritornare a una condizione “normale” non se ne può. Ma perché dobbiamo credere che una situazione normale dev’essere moscia? Naturalmente c’è una questione di dipendenza. La dipendenza fa soffrire la carenza. Ma c’è una via diversa dalla crisi da carenza. È rimettersi all’opera, con pazienza, andando incontro alla Musa un po’ più in là: una miscela altalenante di picchi e avvallamenti, ma entro una fascia sostenibile. Certo ci vuole un po’ di saggezza, ma non nel senso di accontentarci. Dobbiamo riconoscere che in queste spinte fameliche c’è la molla che ha spostato avanti la vita degli umani, da sempre. E che produrrà il futuro. Dunque va bene rischiare un po’.
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È quasi due settimane che ho iniziato la nuova terapia. Nessun effetto collaterale disastroso, per il momento. Mi sento bene. Mi sento molto bene. I fastidi all’intestino si sono calmati. Si tratta della nuova tendenza nei confronti dei tumori. Si vuole cronicizzarli per tenerli sotto controllo. Non è un concetto divertente se confrontato all’idea di guarigione. Ma mi fido della medicina. In ondo, il contrario per me sarebbe peggio. Il mio umore è alto. La fiducia di uscirne bene da questa vicenda c’è ed è connessa con la chiara sensazione che già adesso sto bene e sono gioiosamente operoso. Insomma, questa scommessa mi tiene su.
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