Categoria : Eugenio Guarini
Categoria : Eugenio Guarini
Lettere da Nosolandia 19
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(Disegno: “Colloquio del mattino”)
Alla fermata del pullman, tutte le mattine.
Lui studiava al Conservatorio e lei all’Università di Infermieristica. Lui era innamorato della musica e le raccontava l’impegno serio con cui studiava composizione. Aveva grandi sogni. Le diceva che la musica gli aveva salvato la vita. Quando suonava, o scriveva la musica, gli sembrava di non esistere neppure… Lei pensava alla cura dei corpi, agli aspetti umani della cura, alla fiducia, al parlare, all’ambiente di cura. Era entusiasta. Sentiva che quel ruolo era il suo. Che gli derivava da suo essere donna. La cura e la relazione, questo era il suo mondo. Aveva grandi aspettative…
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(Disegno: “Albero fruttuoso”)
Prima di ogni ragionamento che lo giustifichi, io sento che la fedeè vitale, la fede ha ragione. E la fede è nel desiderio e nella vita. Quella è la pista, stare aderente al desiderio con fede è essere a contatto con la Sorgente.
Il desiderio che vuole generare, sempre. Ma non per avere oltre il bisogno, ma perché generare è la vita. Generare nel corpo e nell’anima, come vuole Diotima nel discorso di Socrate. Generare: è questo il viaggio. La grande avventura è la generazione con la mente animata. Inseguendo la Bellezza, che non si lascia mai possedere del tutto.
È possibile generare con l’energia vitale dell’anima incantata e offrire questo come cibo al prossimo? È possibile che questo sia il mio piccolo grande contributo alla coltivazione dell’umano?
Io non sono portato alla polemica e non la farò mai. Sono un albero mansueto di un giardino, con le radici in un terreno nutritivo, e in un paese dal clima favolosamente gentile, che aderisce alla sua vocazione a crescere fino alla fine e a produrre frutti succosi e nutrienti, per chiunque ne abbia bisogno o desiderio.
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(Disegno: “Andare”)
La sofferenza esistenziale è il modo in cui viviamo i nostri limiti. Ci sentiamo potenti, desideriamo l’infinito e scopriamo che, in concreto, possiamo poco e moriremo. Questa sofferenza non è una malattia. È la vita. E possiamo trasformarla in trampolino di lancio per la nostra impresa epica. Come hanno fatto in tanti. Se ci lasciamo convincere che è una malattia prendiamo i farmaci e alla meglio riusciamo ad integrarci in una piatta normalità.
Da quando sono malato (il linfoma è una malattia) la percezione dei miei limiti è aumentata notevolmente (e a ragione). Ma non mi ha impedito di, anzi mi ha spinto a cercare il senso e la gioia con uno slancio ancora maggiore. Perché so che è nel mio potere vitale.
E la gioia non è affidata a qualche tecnica terapeutica, né a qualche molecola che agisca nel chimismo del cervello. Le molecole le prendo per il linfoma, non per l’umore. La gioia è legata al senso di quel che faccio e in maniera irrinunciabile alla fiducia di avere il potere comunque di contribuire realmente con l’azione al miglioramento del mondo.
Essere malato non ti definisce tanto quanto il potere fiducioso di migliorare il mondo. Il senso d’impotenza che le notizie al telegiornale ti lasciano addosso rafforza la depressione perché ti suggerisce che la tua vita non serve a niente. Bisogna ribellarsi a questo senso d’impotenza, mostrando a se stessi che, nelle piccole azioni quotidiane, noi miglioriamo le cose, sosteniamo e aiutiamo persone, realizziamo imprese belle, regaliamo al mondo nutrimenti di bellezza e di gioia. E siamo sicuri che, se riusciamo ad agire in solidarietà, possiamo migliorare ogni cosa.
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(Disegno: “Il figlio”)
Quando hai dei figli senti che sei in linea con il tuo destino. La vita è desiderio che genera. È così per tutti gli animali e per le piante. L’uomo ne è più consapevole e si prende cura più a lungo del figlio di quanto non facciano gli altri animali. E il figlio si stacca gradualmente, imparando a vivere autonomo. Va per la sua strada. E porta avanti la storia. Si porta dietro i suoi genitori. Ma li porta dentro di sé, integrati nel suo sogno e nella sua avventura.
Quando fai delle opere d’arte è analogo. Il desiderio vuole creare anche opere culturali, nutrimento per l’animo, per lo spirito, per la mente. Quando queste opere sono uscite dalle mani dell’artista, vanno per conto loro. Vanno incontro al mondo, alla gente, ai gusti, ai giudizi. Le lasci andare con gioia. Loro si portano dietro un pezzo di te. E la gente t’incontrerà lì. E farà quel che si sente di fare.
Nella mia storia personale d’artista ho sentito per prima cosa il bisogno di esprimere me stesso. Ho ancora questo bisogno. Ho la sensazione di non essere ancora riuscito a esprimere tutto il mio potenziale. La storia non è finita. Almeno a sentire il mio desiderio, non sono pronto per la parola fine.
Ma dopo un po’ di tempo ho cominciato a sentire che l’arte come bisogno di espressione era ancora una descrizione limitata. Non volevo solo esprimermi. Volevo comunicare. Volevo entrare in relazione con la gente, con il mondo, con la società. Le mie opere volevano anche realizzare qualcosa. Volevo dare con esse un contributo. Volevo creare nuova realtà, costruire nuovo mondo.
L’espressione artistica ha una sua storia. Alla fine vuole connettersi con le forze stesse della vita più grande, della realtà più grande, anche con le dimensioni che sfuggono alla coscienza e alla conoscenza, per trovare una sinergia buona con esse e compiere un destino comune, che riguarda tutti.
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(Disegno: “Navigare a vista”)
Uso la parola e la scrittura per mettere in chiaro nella misura del possibile le cose che mi riguardano. So che il linguaggio è “guardiano dell’Essere”, come vuole Heidegger. Per me questo vuol dire che è guardiano innanzitutto del “mio essere”. Il modo in cui ne parlo (innanzitutto a me stesso) modella la mia realtà e il mio mondo. E faccio questo sapendo che la Realtà, oltre i fragili confini della mia conoscenza, è un Oceano di mistero. E allora capisco (e mi piace) che il mio viaggio sia una navigazione a vista nell’Oceano dell’Essere. E mi piace sentire che questa è la mia avventura. E che ho da usare gli strumenti che la natura mi ha regalato, e che affinarli fa parte del compito gioioso che con la parola sto disegnando per me.
Il mio linguaggio, che desidera portare chiarezza e razionalità nella mia avventura, parte dal desiderio e quindi dal sentire. Mi piace isolare e vedere chiaramente quei desideri che in me sfidano il fluire del tempo e permangono. I desideri che resistono al mutamento e che assumo come indicativi di chi io sia. Essi, evocati, accendono il fuoco dentro di me e mi sostengono nell’avventura. Indicano inoltre la direzione e mi consentono di individuare degli obiettivi. E così mi pare che il “guardiano dell’Essere” diventi un “amante in cerca” dell’Essere.
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(Disegno: “Giochi ai giardinetti”)
Erano gli spazi di gioco i luoghi dei nostri sogni. Allora ne avevamo il tempo. Le nostre agende erano piene di spazi bianchi, oltre la scuola, la messa la domenica, e la visita a zia Maria il giovedì pomeriggio. Anzi, non avevamo agende. E i nostri giochi erano imprese da grandi, ma diverse: gustate per loro stesse e non in vista di qualche obiettivo. Ci piaceva essere l’architetto (con la sabbia), il pilota, il marinaio, l’alpinista, il corridore… I più grandi c’invidiavano, di certo, dato che venivano a minacciarci e a molestarci se erano nelle vicinanze. E anche questo era un segnale che noi avevamo, allora, il segreto della vita vera.
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(Disegno: “In cerca di nettare”)
Verso l’una di notte sono stato svegliato dal vento. Sbatteva le persiane, ha fatto volare gli ombrelloni lasciati aperti, spostato le scope appoggiate alla grondaia. Mi sono alzato per sistemare le cose. Poi sono rimasto sveglio per un po’ di tempo. È normale. Ma non so stare a letto se sono sveglio e allora sono venuto a disegnare.
Il mio modo di pensare è avventuroso. Solitamente mi aggancio a eventi casuali. Per lo più ai miei disegni, che sono molto fortuiti. Incomincio a muovere la penna sul tablet e faccio “nuvole”, ovvero macchie. Poi mi fermo e guardo. Solitamente vi vedo dentro qualcosa. E lo completo, se mi piace. Se non ci vedo niente d’interessante, ricomincio da capo, con un altro foglio. Dopo che gli ho dato un titolo, incomincio a pensare, per libere associazioni, che partono dal disegno.
Il disegno qui riportato l’ho chiamato “In cerca di nettare”. Ovviamente si tratta di farfalle su fiori. E la cosa mi piace. Mi piace la metafora. Andare sulla bellezza e succhiare del nettare che nutrirà. Nel caso delle api, ancora di più delle farfalle. Quel nettare verrà trasformato in miele. Un nutrimento potente ed energizzante.
Non c’è bisogno di Freud per interpretare questa fantasia. E non insisto.
Poi mi viene in mente una compagna delle Media, Rossella T. Era ebrea, e molto educata nei confronti di noi che sapevamo di essere cattolici e la guardavamo storto. Era carina. Parlavamo ogni tanto. Ero rimasto colpito da una sua osservazione durante l’ora di lettere. La professoressa stava facendo l’elogio del dovere, della vita dura delle persone di carattere e cose del genere. Lei replicò con una voce gentile: “Però è anche bello a volte essere leggeri e graziosi come una farfalla”.
Cara Rossella, è qualcosa del genere che mi è venuto in mente stanotte. Qualcosa che tu sapevi già e che io stento ad imparare.
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(Disegno: “Gettare la rete in mare”)
Assolutamente è il gesto che mi è più familiare. Gettare la rete in mare. Anche se è una metafora, perché immagino di farlo dal mio balcone est, che dà sull’inizio occidentale della Pianura Padana e non sul Mar dei Sargassi. Ma potrei giurare di non fare altro durante il giorno. In questo periodo il mare sono i libri e gli amici con cui entro in contatto, Youtube e Internet. E ovviamente Facebook. Perfino i film che vedo su Netflix e su Amazon Prime. A forza di restare chiuso in casa, il mio appartamento si è riempito di mondi. Tanto che mi sembra di perdere tempo a uscire. Forse è una malattia peggiore del linfoma. O forse è una nuova dimensione del vivere. C’è fame di realtà, ma sembra che la via per raggiungerla passi più dentro di me che fuori del mio cancello.
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(Disegno: “Il viaggio continua”)
Un gran sole questa mattina, l’aria ancora fresca. Il fogliamo è verde umido. Le colline moreniche a est segnano l’orizzonte. E il viaggio continua.
Gli uccellini, una gran festa. E il torrente scivola rumoroso, là davanti.
L’animo si è risvegliato nuovo. Sorpreso da tanta luce.
Immagino passi nuovi lungo il percorso e attendo sorprese.
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(Disegno: “Quando la passione”)
I momenti della passione amorosa sono certamente potenti. Quando quella stessa passione si allarga alle opere della cultura, con lo stesso calore, con lo stesso fuoco a me pare il top. Ad ogni buon conto, nella creazione artistica è quel fuoco che opera attraverso le mani, la voce, il corpo tutto, fecondato in amore partorisce in amore.
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(Disegno: “Sognando il viaggio”)
Stamani è un po’ così. Ma il viaggio comincia nella testa. E ormai tutti sappiamo che il viaggio vero trasforma dentro le persone man mano che procedono tra fatti ed eventi. Ed è questo che sogno davvero, guardando dal molo le vele piene di vento che solcano il mare.
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(Disegno: “La comparsa del sole blu”)
Il fenomeno si manifestò tra la fine della primavera e l’inizio dell’estate e, ovviamente, fu oggetto di diverse e anche contrastanti interpretazioni. Si parlò di Apocalisse e si minacciò la fine della specie umana. Uscirono allo scoperto coloro che l’avevano sempre detto e quelli “che te lo dico a fare?”. I ragazzi la presero in allegria. Dopo la grande meraviglia iniziale incominciarono a inventare giochi prima sconosciuti e tra di loro comparvero dei narratori di tipo nuovo. Essi non degnavano di considerazione le voci minacciose di chi voleva approfittare della solita strategia per esercitare potere sulla gente. Trovavano che un sole blu era divertente e invitava a colorare con nuovi cromatismi tutte le cose. Quando i profeti di sventura si accorsero che i ragazzi se ne facevano un baffo delle loro minacce, si afflosciarono letteralmente e nel giro di un lustro scomparvero dalla circolazione. Nacque in questo modo la nuova era. Senza la solita rivoluzione violenta.
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(Disegno: “Conoscere il mondo”)
Innanzitutto per conoscere il mondo. Sì, certo, l’avevo capito anche meglio durante la malattia che mi svegliavo con la voglia di conoscere il mondo. Una sete, una fame di conoscenza che mi metteva addosso una certa eccitazione fin dal risveglio. E poiché non mi era dato viaggiare, lo facevo con i libri. E con Internet.
Il mondo era pieno di persone interessanti, figure audaci, in qualche modo ribelli, capaci di andare avanti testardamente per essere, diventare e fare quello che volevano. Gente che alla fine aveva regalato a tutti noi qualcosa di speciale, di unico, proprio grazie alla testardaggine nel perseguire il proprio sogno. Gente da cui si ricevevano un sacco di stimoli a vivere, come loro, seguendo il proprio richiamo.
Appena fuori dal porto c’imbattemmo in una sterminata regione di cose inutili. Fu uno shock, sulle prime. Eravamo abituati al mondo dei numeri e dei profitti, al mondo in cui ciò che non ha prezzo non vale una cicca. E ora eravamo storditi dal cambiamento. Ci mettemmo un po’ per ritrovare il controllo delle navi. Ma il vento gonfiava le nostre vele, e comparve sui volti dell’equipaggio un sorriso diverso, una sorta di felicità intimidita. Sembrava che le cose inutili, che avevamo accantonato e ignorato proprio per questo, le cose inutili che avevamo lasciato fuori dai moli, avessero un incantesimo strano, suadente, inatteso. Fu durante quel lungo viaggio che scoprimmo l’utilità dell’inutile.
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