Lettere da Nosolandia 12
Lettera da Nosolandia 12.
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La mia dottoressa e lo sgombro marinato.
La mia dottoressa di base è simpatica e gentile. Ora che sono stato inquadrato nell’ADI (Assistenza Domiciliare Integrata) mi viene a visitare ogni settimana, al mercoledì mattina.
Man mano che ci frequentiamo vengo a conoscere un po’ più di lei e si sviluppa una certa confidenza reciproca.
Le sono molto grato perché nel periodo in cui ero divorato dal dolore, lei, che era uscita da poco da una chemioterapia, si è fiondata in casa mia con le iniezioni di Toradol e le gocce di Contramal, dandomi finalmente un po’ di pace.
Un po’ per volta vengo a sapere che ha fatto il liceo proprio nell’istituto dove io ho insegnato ed è stata allieva di un mio allievo.
Oggi mi ha detto che durante la chemio si era messa a leggere molto e aveva modificato la sua alimentazione, mangiando solo verdura cruda o cotta al vapore e pesce azzurro. E questo le ha consentito di non soffrire la chemio. Io ricordo che nelle ultime chemio restavo digiuno e mi sembrava di reggerle meglio.
Comunque stamani ero interessato al pesce azzurro e le ho chiesto cosa cucinasse. “Le alici e le sarde, generalmente al forno. E lo sgombro…” Io dico: “lo sgombro è così asciutto… E lei: “Devi farlo marinato, è molto buono. Lo fai bollire, poi lo sfiletti e metti i filetti in un recipiente con olio e limone”.
Mi è venuto voglia di provare.
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Sono calmo e sto scrivendo con gentilezza. Una parola dopo l’altra. Lentamente. Sento le cosce premere sulla sedia. I muscoli leggermente doloranti che si accorgono di risvegliarsi. Le gambe funzionano meglio e anche la schiena non duole. Credo di aver dormito a sufficienza, anche se ricordo le ore di una notte piuttosto operosa, qui, in studio, per apprendere. Certo che desidero non buttare il mio tempo. Desidero amare la scrittura e la musica. Vorrei godere anche della grazia del disegno. Inventare qualcosa di nuovo in questo campo. Adatto alla condizione che sto vivendo. Ho una giornata in regalo, qui, davanti a me. E c’è un sentore di primavera. Anche se il ciliegio, qui sotto, non si è ancora risvegliato. Anche se nuvole e foschia sembrano ignorare il cambio di stagione. Ma è dentro di me che apro le porte a una primavera altra, affinché vi si affacci e vi venga ad abitare. Mi meraviglio degli anni registrati dalla mia carta d’identità. Mi sembra di essere nato da poco e ancora solo sulla soglia di questa cosa straordinaria che chiamiamo vita.
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Peugeot e Donnafugata
Ho dovuto dormire per un paio d’ore per recuperare. Ma è stato bellissimo: uscire. È anche logico che alla fine fossi stanco. Sono mesi che non esco da casa e che non traffico fuori di prigione per tanto tempo. In altri termini, sono andato a fare la spesa all’Ipermercato di Cuorgné. E ho guidato io!
Il meteo era gradevole. E fin da stamattina l’idea girava nella testa. Oggi sarebbe venuta mia figlia. Solitamente per riassettarmi l’alloggio. Ma le mie gambe sembravano meglio e fuori un po’ di sentore di primavera… Al suo arrivo la decisione è stata immediata.
Mi sono vestito con gli abiti “civili”, dismettendo la “divisa” da carcerato (la mia tuta prêt-à-porter giorno-notte). Siamo scesi con l’ascensore fin nella zona cantine garage. Una piccola rampa con mancorrente e poi, in area garage, la mia vecchia, cara, sonnolenta Peugeot monovolume. Mi sono messo alla guida e mia figlia sul lato del passeggero. È facile sedere nel Ranch della Peugeot: il sedile è già all’altezza del sedere e il tetto è alto e non è necessario piegare la testa.
I piedi mi funzionano bene. Mi sento sicuro. Si parte.
All’Ipercoop di Cuorgnè l’idea è di evitare tutti i gradini parcheggiando nel garage sotterraneo. Poi aggrapparsi a un carrello e entrare nell’Ipermercato con quel sostegno. Saliamo in ascensore e ci avviciniamo all’entrata. Cammino con una lentezza da bradipo. Attiro lo sguardo di diverse persone ma ho deciso di fregarmene. Però con quella lentezza, fare la spesa durerà una vita.
La soluzione, guarda, è lì davanti ai nostri occhi. Una meravigliosa sedia a rotelle, ripiegata vicino i cestelli e assicurata a una catena. È questione di pochi minuti. La sedia è maneggevole, leggera, comodissima.
Mia figlia mi segue col carrello e io ho la lista della spesa. Guardare le cose dal basso mi fa un certo effetto, ma sono così felice che mi metterei a girovagare in ogni dove. Al banco del pesce, due sgombri che meritano, poi zucca, catalogna cimata da fare al vapore, e consumare con olio e limone (lo so che si può fare più gustosa con le acciughe, ma voglio tenermi leggero), mele Golden per la ricetta strudel semplificato, un paio di peperoni rossi e duri, aranci e limoni, torcetti Massera di Biella, un pezzo di focaccia, un sacchetto di zucchero che manca, una bottiglia di Donnafugata che si rivelerà aromatica al punto giusto e che vale tutti i suoi undici euro.
Al ritorno la sedia a rotelle mi porta fino alla macchina, Salgo nuovamente al posto di guida mentre mi a figlia carica le borse e riporta la sedia a rotelle a suo posto.
La foto me la scatta al ritorno.
È ovvio che adesso intensificherò gli esercizi alle gambe. Bisogna che riesca a camminare in maniera più sicura al più presto. E poi proverò anche a salire sul camper (che è più difficile perché il gradino è molto alto e così pure il posto di guida). Un po’ per volta.
A cena, stufato di zucca, con catalogna cimata al vapore, olio e limone, un paio di bicchieri di Donna fugata, e una striscia di focaccia. Poi il crollo.
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ore 5:00
Ho dormito veramente poco questa notte. Sono eccitato. L’uscita di ieri sembra aver segnalato uno scatto in questa storia della guarigione. Benché non me la senta ancora di avventurarmi da solo fuori di casa, qualcosa è scattato nelle gambe. Rispondono un po’ di più. Ogni tanto avverto scosse elettriche nei muscoli. Veronica, la mia fisioterapista, dice che sono segni buoni. I nervi riprendono le loro funzioni? Una serie di piccoli eventi che provoca qualcosa anche nel mio film mentale: la fase del “tutto il tempo a leggere, a scrivere, a pensare e a stare su Facebook…, perché almeno questo lo posso fare” è terminata. Si apre un’altra fase che suggerisce: “Più esercizi alle gambe, più azione nella cura della casa, più tentativi assistiti di uscita in campo aperto…”.
Mi piace essere sorpreso da questi cambiamenti nella geografia delle cose. E sono pronto a cambiare il tenore delle mie giornate. Ci sono piccole azioni che sono però un cambiamento di qualità dell’intero. Qualcosa del genere.
Magari, adesso che me lo sono detto, ritornerò a dormire.
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Tagliatelle e fuoco acceso.
E così mi sono riaddormentato. Alle dieci, quando ho riaperto gli occhi, ero intontito ma felice di aver recuperato un po’ di sonno.
Fuori il sole! Puoi capire… Un messaggio di Laura, che c’è già passata suggerisce: “Non strafare. Sei ancora nella zona ‘fatigue’”. So cosa vuol dire. È la voce della saggezza e non seguirà l’impulso ad esagerare (ch’è mio). Cammino un po’, avanti e indietro, tra la cucina e la sala dove dipingo. I muscoli rispondono abbastanza e ogni tanto una scossetta. Non resterò fulminato da qualche corto circuito!?
Mia figlia mi ha portato della pasta fatta da lei. È diventata un mago in queste cose. Ho una riserva per almeno sei pasti. Appena sento l’appetito, mi risolvo per le sue tagliatelle. Con quelle e mezzo bicchiere di Donnafugata sono già in area euforia.
Ed eccola che arriva, la domanda.
“Ma perché ti sei gettato in questa cosa che chiami vita d’artista?”
Mi piace questo arrivo. È l’invito a soffiare sulla fiamma, ad alimentare il fuoco dentro.
La risposta mi è chiara:
“ Non volevo più padroni: quindi un lavoro indipendente e libero. Una certa autonomia finanziaria senza però fare del denaro uno scopo di vita. Fare quello che amavo (pittura, disegno, scrittura, musica…e qualsiasi cosa avessi scoperto m’innamorasse) vivendo d’entusiasmo. Fare cose utili anche agli altri, ma senza intenzione esplicita: quello che fa bene a me fa bena anche agli altri.”
Ho imparato a sintetizzarlo telegraficamente perché via via è diventato sempre più chiaro.
Ripetermelo mi emoziona ogni volta perché sento che è proprio un modo di vivere in cui sguazzo di gioia. So che non è stato un percorso in pianura, ma delle fatiche del passato mi sono completamente dimenticato. Mi daranno il Nobel della Gioia?
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Fuggire l’ombra con le dita
Lo devo confessare: oggi ho sentito bussare alla porta la depressione, lo scoramento. Insomma, fuori c’era il sole. E io chiuso qui in prigione. Con le gambe ancora troppo deboli. I libri non erano sufficienti stamattina. Erano grigi. E i pensieri in essi contenuti non saltavano fuori col solito smalto. Non mi sono lavato, sono rimasto in pigiama. Non ho fatto la barba. Ho cucinato il minimo indispensabile. Ho dormito disordinatamente.
Quando me ne sono accorto, mi son dato una mossa. Ho reagito con la musica: arpeggi a non finire. Ho le mani doloranti. Ma almeno, con le dita, ho camminato (sulla tastiera, avanti e indietro).
Devo solo organizzarmi meglio. Ho solo bisogno di qualcuno che mi porti la macchina in garage. Stamani ho cincischiato.
Domani mi predisporrò meglio. Camminare non me la sento, ma fare un giro in auto sì. Andrò da qualche parte con una vista panoramica e aprirò i finestrini. E avrò con me il mio taccuino. E anche l’Ipad per disegnare. Ecco, sì, questa è una bella idea: un po’ di disegno en plein air (dai finestrini della macchina) con l’I Pad. Il meteo dice che non sarà bellissimo (meglio lunedì), comunque non pioverà.
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Nel pomeriggio sono uscito con l’auto e ho guidato da solo. Non è stato eccitante dal punto di vista dell’intrattenimento. Ho fatto un giro a vuoto che ha toccato Castellamonte, Cuorgné, Salto, Valperga, Busano, Favria e di nuovo a Rivarolo. Valeva come test per l’autonomia di guida. Mio figlio Jacopo mi ha portato la macchina in garage, dove posso arrivare senza incontrare gradini, grazie all’ascensore e una debole rampa con corrimano. Una volta seduto in macchina è fatta.
Ovviamente questa è solo una tessera di una nuova mobilità. Dev’essere integrata in una riorganizzazione più vasta.
È necessaria una nuova fioritura. Si possono creare e coltivare gli orti sul balcone. Posso riorganizzare la mia avventura da seduto.
Intanto: quadri digitali. Qui è un territorio già esplorato, ma che nelle attuali circostanze può diventare un vero e proprio campo di ricerca e scoperta. In fondo questi nuovi strumenti elettronici devono ancora trovare un posto nella generale produzione artistica. Essi definiscono nuovi spazi e sono destinati a rivoluzionare il mondo dell’espressione e della comunicazione. Accanto alla comprensibile e legittima preoccupazione di individuare rischi e pericoli è necessario un lavoro di ricerca e di esplorazione. E a me piace più questa parte di quella del censore.
Poi un nuovo modo di realizzare le interazioni sociali. Devo imparare a gestire una sedia a rotelle, a sistemarla in auto da solo ed estrarla da solo. In questo modo posso andare a fare la spesa da solo, incontrare le persone in spazi larghi (per esempio nei centri commerciali, all’IKEA, nelle sale espositive, e dove altro?).
Incrementare il rapporto faccia a faccia tramite Skype, le videocamere di Facebook, WhatsApp… Insomma parlare a vista con gli amici e i collaboratori. È già un grado di realtà maggiore per l’interazione con le persone.
Naturalmente, gli esercizi di fisioterapia. Aiutare i muscoli e i nervi a riprendere vita. Camminare di nuovo è ancora un obiettivo primario.
Sì, una nuova fioritura. La stagione è quella giusta. E il meteo generale e la fertilità del suolo sono i fattori decisivi. Parlo del loro equivalente interiore. So che al di là, e perfino prima, dei problemi organizzativi pratici è l’atteggiamento interiore quello da coltivare. Ci vuole slancio, fiducia. Flessibilità mentale. Io ci provo.
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Ho goduto della gioia che Beatrice Fazi (che mi è amica qui su Facebook) sprigiona raccontando la sua conversione. Capisco quello che ha provato e sente: di essere amata da Dio. Ho lo stesso sentimento dentro. Sono amato dalla Vita. Sono vivo e sento e ho il desiderio di una pienezza indicibile, e anche di scoprire cosa questo significhi, di là dai balbettamenti che riesco a farne con le parole. Perché le parole sono solo una mappa e non dimentico che la mappa non è il territorio. Questo non dimenticare è un sapere che il proprio sapere ha dei limiti, è uno sguardo gettato oltre il confine.
Curioso questo paradosso: si sa che il proprio sapere ha dei limiti. Com’è possibile conoscere i propri limiti senza sapere qualcosa del mistero? Il mistero è qualcosa che “si vede come ciò che non appare”!
Ma è in questo spazio vuoto e oscuro che si può manifestare il sentimento di essere amato, la fiducia, e lo slancio folle di avventura.
Insomma mi scopro avvolto nell’ignoranza come in una coperta cotonata, mentre invento mitologia personale per la costruzione del mio film. Le mie congetture sono reti gettate nell’oceano misterioso dell’essere, nella speranza che afferrino i pesci della realtà, di cui ho assolutamente bisogno per nutrire il mio esserci davvero.
Ma pescare e cucinare sono arti di cui si può diventare molto esperti, migliorando continuamente. Ed proprio ciò che cerco d’imparare ogni giorno. Ed è un modo di fare della propria vita un’avventura.
Perché mi devono piacere solamente i film fatti dagli altri? I romanzi scritti dagli altri? I grandi artisti, autori, giganti della cultura chiedono di essere imitati, di essere frequentati da noi, per fare come loro: la nostra grande opera.
Da bambino sentivo bruciare dentro di me un certo bisogno di grandezza. Ho sempre cercato di capire, tentando questo o quello, come rispondervi. Qual era il mio modo personale? La mia dimensione? Le mie specifiche? Si comincia a scimmiottare i nostri eroi, ma poi si vuole diventare l’eroe che è racchiuso dentro di noi. Allora ogni giornata ha le sue prove da affrontare, e le sue occasioni per mostrare il proprio coraggio, l’arguzia, l’intelligenza, la passione, i propri talenti, insomma.
Anche oggi è così.
Categorie: Eugenio Guarini